sabato 26 dicembre 2015

Fulgido pensiero ininterrotto

“It’s just... everything. There are too many people. And I don’t fit in. I don’t know how to be. Nothing that I’m good at is the sort of thing that matters there. Being smart doesn't matter—and being good with words. And when those things do matter, it’s only because people want something from me. Not because they want me.” 
Fangirl ― Rainbow Rowell



Ho solo frammenti di vita intorno a me, scintille inconsistenti. Attesa, quel fulgido pensiero ininterrotto che sedimenta.  Non la sento l’atmosfera tipica dei giorni di festa, quel senso di pienezza che arriva da una tavola imbandita, i pasti chiassosi con i parenti, la gioia di scambiarsi doni. Ma si sa, il Grinch mi fa un baffo, io con il Natale non ci vado molto d’accordo. Fiero membro del #TeamAntiDecori, credo di poter affermare con certezza che quest’anno il clamore di questa festa non l’ho percepito. Sarà che mia sorella è lontana, sarà che fino all’ultimo ho combattuto tra test e consegne. Sapevo che la situazione sarebbe cambiata, perché tutto cambia, inevitabilmente, quando si iniziano percorsi nuovi. Ma non avrei mai immaginato che sarebbe stato così devastante. Non avrei mai immaginato che avrebbe fagocitato tutto il mio tempo libero. Eppure è così. E quando non ho consegne asfissianti, dormo. Perché il sonno è prezioso. O leggo quelle dieci pagine di cui necessito come l’aria, perché lo ammetto, senza leggere proprio non ci so stare.  Ma la vita è anche questo, accettare ciò che viene, impegnarsi fino in fondo e andare avanti  senza fermarsi. 

sabato 19 dicembre 2015

Stand up for all

Lo chiamano life style, lo chiamano  blog, lo chiamano in tanti modi diversi, ma alla fine è solo aprire un foglio, in format web e gettare nel mare della rete parole, parole che restino, che non si lascino scivolare via, con quell’atmosfera sognante da film dell’orrore. Troppi silenzi, troppo tacito menefreghismo, troppa indifferenza in un mondo che ci fagocita lentamente e inesorabilmente che si perde nel mare della sofferenza tra indicibili soprusi ormai largamente accettati come “normali”.
Diventa allora impressionante scoprire come in certi paesi, apparentemente civilizzati accadano cose orribili, con statistiche altissime. E diventa allora ancora più importante condividere un video come questo. Un video per Care Norway dell’agenzia Schjaerven diretto da Swede Jakob Ström che apre gli occhi, in maniera anche abbastanza forte.





Dear Daddy,
I just wanted to thank you for looking after me so well, even though I'm not yet born. I know you already try harder than Superman; you won't even let mummy eat sushi!
I need to ask you a favor. Warning: It's about boys.

Because, you see, I will be born a girl, which means that by the time I'm 14, the boys in my class will have called me a whore, a bitch, a cunt, and many other things. It’s just for fun, of course. Something that boys do. So you won't worry, and I understand that. Perhaps you did the same when you were young, trying to impress some of the other boys. I’m sure you didn’t mean anything by it.
Still some of the people some of the people won’t get the joke and funnily enough it isn’t any of the girls, it’s some of the boys.

So by the time I turn 16, a couple of the boys will have snuck their hands down my pants while I’m so drunk I can’t even stand straight. And although I say no, they just laugh. It’s funny, right? If you saw me, Daddy, you would be so ashamed ... because I’m wasted.
No wonder I’m raped when I’m 21, 21 and on my way home in a taxi driven by the son of a guy you went swimming with every Wednesday. The guy who always told insulting jokes but they were of course only jokes so you laughed. Had you known that his son would end up raping me you would have told him to get a grip. But how could you know, he was just a boy, telling weird jokes and in any case it wasn’t your business. You were just being nice. But his son, raised on these jokes becomes my business.

Then finally I meet Mr Perfect and you are so happy for me Daddy because he really adores me. And he’s smart with a great job and all through the winter he goes cross country skiing three times a week just like you. But one day he stops being Mr Perfect and I don’t know why. Wait. Am I overreacting? One thing I do know, I am not the victim type. I am raised to be a strong and independent woman. But one night it is just all too much for him with work, and the in-laws and the wedding coming up, so he calls me a whore, just like you called a girl a whore in middle school once.

Then another day he hits me. I mean I’m way out of line, I can really be a bitch sometimes. We’re still the world’s greatest couple and I’m so confused, because I love him and I hate him and I’m not sure if I really did something wrong and then one day he almost kills me. It all goes black, even though I have a pHd, a fantastic job, I’m loved by my friends and family, I am well brought up. But nobody saw this coming.
Dear Daddy, this is the favor I want to ask: One thing always leads to another so please stop it before it gets the chance to begin. Don’t let my brothers call girls whores because they’re not. And one day some little boy might think it is true. Don’t accept insulting jokes from weird guys by the pool or even friends because behind every joke there is always some truth.

Dear Daddy, I know you will protect me from lions, tigers, guns, cars and even sushi without even thinking about the danger to your own life.
But Dear Daddy, I will be born a girl. Please do everything you can so that won’t stay the greatest danger of all.


domenica 25 ottobre 2015

Insicurezza cronica, instabile sicurezza


Sono una persona che rifugge tutto anche e soprattutto i complimenti, che non riesce ad essere obiettiva con sé stessa, che si perde nei meandri delle sue argomentazioni mentali che iniziano per lo più con  “Ma io non…”. Questo mi pone sempre in un atteggiamento dimesso e poco concorrenziale. Quando si tratta di “vendersi”, nell’accezione in cui bisogna mettersi in mostra, sottolineando i  punti di forza della propria personalità e delle proprie capacità, per me diventa una lenta agonia, un annaspare alla ricerca di un appiglio. Davvero sembro incapace di esaltare tratti di me senza cadere in comportamenti repulsivi e/o offensivi. Sono il classico esempio del predico bene e razzolo male, anzi malissimo. Quando si tratta di essere incisivi io devo essere spronata. Anche se in generale basta iniziare, trovare la giusta motivazione. Alla fine sono in ritardo, ma arrivo, faticando e sbuffando come un toro nella corrida, ma porto a casa qualcosa. Perché sono cocciuta e tignosa e se mi decido arrivo alla fine. Sono anche quella dell’ultimo secondo. Quella che si iscrive a qualcosa ad un giorno dalla chiusura dei bandi, che se non ha l’adrenalina a fior di pelle non mette il turbo, quella che vive l’attimo della consegna con l’ansia di non riuscire a finire. Sono un caso disperato. I migliori esami li ho sempre preparati a pochi giorni dalla data d’appello. Con lo stomaco sottosopra e l’idea fottutissima di non farcela. E nonostante ripensamenti e arresti, sono arrivata alla fine.
E tra un po’ inizio una nuova avventura. Ho la stanza sottosopra, valigie aperte ovunque e quella voglia di fuggire che mi gravita addosso. I miei non ci credevano neanche, mi hanno guardata come un’aliena sulla soglia di un viaggio intergalattico, perché in fondo io non sono nessuno e se non ci credono loro, chi deve crederci? Io, forse, con quel sentore di fallimento a pochi passi da me, quella congestione di paure e dubbi che non mi abbandona mai, quel profumo di sconfitta che mi si appiccica alla pelle, perché in fondo per un’insicura cronica come me diventa difficile il doppio lanciarsi senza paracadute. E se due anni fa mi dibattevo  nella consapevolezza di non riuscire ad ingranare in quei maledetti sei esami che mi mancavano, sempre a rigirarmi tra il malloppo di RF, e l’anno scorso  mi dibattevo nella depressione post-erasmus sfangando Micro e Nanoelettronica e gemendo con Compatibilità, quest’anno ho il beauty-case mezzo pieno con una lista di cose da portarmi e l’ansia di dover conoscere persone nuove, di nuovo, mettermi in gioco, sviluppare nuove competenze e magari finalmente uscire dall’apatia che mi circonda. 

Spero di avere ancora tempo per le mie passioni primarie, per quel passatempo che non è un gioco, ma l’ancora della mia sanità mentale in questi mesi, quel luogo virtuale che mi ha salvato in tanto tempo di inattività, che mother non capisce, neanche si sforza di afferrarne il peso e la portata e io ho smesso di cercare di spiegarmi. Perché tanto sono parole al vento. Io basto a me stessa. Io sono quella che sono. E se sono riuscita a infilare “Un uomo” della Fallaci in un colloquio di lavoro da ingegnere, con annessa discussione sul perché è uno dei miei libri preferiti, credo con una certa presunzione di poter fare qualsiasi cosa. 

lunedì 19 ottobre 2015

Pagine di un diario sepolto…




Respirare diventa sempre più difficile. Camminare implica la contrazione di troppi muscoli che spesso e volentieri si sono atrofizzati per il troppo rimanere immobili. Gesti che sembravano comuni e facilmente replicabili si scontrano contro una quotidianità pericolosa e intransigente che consuma pagine grigie e commozioni violente, scoppi di grida e torrenti di lacrime.
Cede sempre un nuovo passo all’orizzonte che resta immobile e irraggiungibile condensato in una linea rosso sangue, un taglio netto e doloroso che continua a bruciare quando toccato. Niente è come sembra, solo attimi infuocati che si consumano spietati nell’ora che tramonta instabile. Gente insaziabile che gira per le strade immonde e bugie luccicanti di vergogna tra vecchi edifici pericolanti.  Crollare, bruciare, essere irraggiungibili come dentro un alito incartapecorito dal disuso, quando il vento sembra dimenticare tutto.
Gente che tracima gli argini costruiti con precisione maniacale intorno al cuore, fragile muscolo che si può spezzare con una facilità disarmante anche più di una volta nell’arco dell’esistenza umana. Un pugno che gli si stringe attorno e lo distrugge con una precisione da chirurgo.

A volte così la solitudine diventa l’unica compagna possibile per proteggersi da pensieri inconcludenti e scintille crudeli. Spazi troppo vasti per essere contenuti dietro mattoni di cera, si aprono dietro cavalli che non si fermano e volute di fumo simmetriche. Generano rancori e ire irrichieste, schiamazzi di vita in un limbo di aberrazioni insorte dietro esseri divergenti, che si allontano dalla massa spietata di bugie già raccontate ma riproposte con una nuova maschera e il vestito della festa. Serie osservazioni con un paio di forbici che segano la notte fluida e incolore. 

sabato 3 ottobre 2015

Stiletto Challenge #2: Rinascere, rialzarsi, ricominciare

Non sempre è facile mettersi a nudo, ma credo davvero che la #StilettoChallenge possa aiutarmi a far luce su me stessa, su quello che voglio, su come ottenerlo, perché diciamocelo, è difficile capire cosa si vuole. Mi sento una nata vecchia e io classe ‘89 mi sento già una mezza fallita. Con una laurea in cui non mi riconosco, disoccupata da  mesi e con un book blog che mi tiene sana, anche se mia madre non lo capisce e con tanti sogni nel cassetto. Devo solo convincermi del fatto che cambiare strada, ora, non è una sconfitta, ma una vittoria per me stessa.
Ma  eccoci alla challenge, giorno 2.


Il secondo esercizio della challenge è questo:





Uno dei miei fallimenti, che non è il più grosso e neanche così catastrofico mi ha dato la spinta per iscrivermi a quella che è stata l’esperienza più MERAVIGLIOSA della mia vita e allora questo, più di tutti è quello che mi devo ricordare. Dalle situazioni più disperate può davvero venire fuori qualcosa di magnifico.
Mi ero iscritta al corso di RF per due motivi principali: iniziavo la magistrale al secondo semestre e mi serviva un corso che iniziasse a marzo, sono sempre stata invaghita di meccanica quantistica e vederne le applicazioni pratiche mi affascinava. Cretina. Il corso è rimasto nella storia perché io ero la sfigata di biomedica, che fattasi portavoce, sventolava la mano ogni volta che i concetti esposti dal prof erano incomprensibile. Il mio “Scusi prof, non ho capito” è rimasto nella memoria collettiva di tutti e all’esame il prof si ricordava esattamente di me e ogni volta (si l’ho ripetuto quattro volte) scuoteva la testa venendomi incontro. Beh la seconda volta che sono andata a darlo (la terza che lo preparavo, perché alla prima avevo rinunciato in partenza) non è andato come speravo. Era novembre 2013, un novembre per me davvero deprimente, mi ero consumata mesi dietro quel maledetto RF che mi trascinavo dietro, con un raccoglitore rosso che aumentava di volume ad ogni volta che lo preparavo.






La voglia di gettare tutto per aria era forte. La depressione dietro l’angolo. Dovevo per forza pare qualcosa. Mi sono messa a cercare qualcosa su  internet, perché santo internet la maggior parte delle volte ha le soluzioni da regalarti a portata di  click. Ed è stato in quel frangente che ho beccato il bando delle selezioni Erasmus.  Ho spulciato la lista e ho trovato un progetto che faceva al caso mio, a Bruxelles. Non ero mai stata fuori casa né a l’estero per lunghi periodi fino a quel momento. Sono stata una pendolare per tutto il periodo dell’università. Non ero minimamente convinta. Quando ho annunciato “Faccio domanda per l’Erasmus” i miei si sono messi a ridere, anche se nessuno mi ha fermata, nessuno credeva che sarei rientrata tra i selezionati. E invece pochi giorni dopo Natale… il responsabile del progetto a Bruxelles mi contatta per una skype call per scegliere l’argomento del lavoro. E insomma sono partita il 27 febbraio 2014 direzione Belgio per iniziare i sei mesi più meravigliosi della mia vita e dopo aver dato un esame. RF l’ho preparato in Belgio e quando sono tornata a settembre l’ho passato alla grande e cinque disgraziatissimi mesi dopo mi sono laureata. So… il fallimento mi ha davvero aiutata a dare una svolta. Me lo devo proprio ricordare.


venerdì 2 ottobre 2015

Stiletto Challenge #1: Sbagliare, cadere, fallire

Da un po’ di tempo ho iniziato a seguire una tipa molto in gamba, molto tosta. Veronica Benini dello Spora Blog e fondatrice della Stiletto Academy. Una che dopo anni a progettare edifici ha lasciato tutto e ora insegna alle donne a camminare sui tacchi. Che forse detto così è riduttivo. Ma in un certo senso ha rivoluzionato la sua vita, per intraprendere un’attività che la soddisfa e aiuta altre donne a trovare la loro strada. Il che la rende già una persona speciale. Se fate un giro sul suo blog vi renderete conto che non è una che dice le cose tanto per. Io l’ho scoperta per vie traverse, ma devo dire che mi ha aperto un sacco gli occhi e ho deciso allora di seguire la Stiletto Challenge.
La Stiletto Challenge è una sfida intimistica da fare in 12 mesi, 12 settimane o 12 giorni (ma anche in 12 ore o 12 minuti).
Ho deciso di farla perché avevo bisogno di una scossa, di uscire dalla mia routine, di non perdermi nei meandri di me stessa. Sono in crisi perché non vedo il mio futuro e voglio capire cosa voglio. Ho idee vaghe, presuppongo che da un certo punto di vista ho sbagliato tutto, e non so come uscirne. Vorrei prendermi a schiaffi ma visto che è inutile piangere sul latte versato, forse, forte è il caso di capire cosa voglio e dove mi vedo. 12 passi mi sembrano l’ideale per ritrovarmi.
Ho deciso di postare su questo blog, perché lo vedo come un diario, vagamente deprimente e magari obbligandomi a scrivere un post, almeno sono sicura di farla questa Challenge, di impegnarmici davvero. Insomma sono più motivata… forse.


Il primo esercizio è questo:



Partiamo da quello non superato che mi rode. Beh diciamo che non so se sia proprio un fallimento ma ancora ci penso e penso di aver fatto una cretinata. Ad aprile sono andata a fare un colloqui alla sede di Segrate di IBM. Sono qui, il colloquio non è andato bene. E purtroppo è decisamente colpa mia, perché non sono riuscita a gestire la situazione al meglio. Probabilmente non ho la mentalità da multinazionale. Sarebbe stato un bel posto. Ma insomma ho toppato. Continuo a pensarci e a riflettere sul fatto che avrei potuto comportarmi diversamente e magari ottenere il posto. Invece sono ancora qui, disoccupata.

Da un fallimento superato ho imparato che bisogna imparare a chiedere aiuto, quando sei in difficoltà e non sai cosa fare non devi tenerti tutto dentro e stare lì a compiangerti. A volte per rialzarti hai bisogno di chi ti sta accanto, delle tue amiche, che sanno cosa dirti, al momento giusto. Natale 2008. Stavo per mollare tutto, ma A. con la sua vicinanza e il suo incoraggiamento mi ha permesso di continuare a credere in me stessa, a non arrendermi, ad andare avanti. Chiedere aiuto  non è una debolezza, è una forza. 

sabato 26 settembre 2015

Autumn is on the way

The first of many autumn rains smelled smoky, like a doused campsite fire, as if the ground itself had been aflame during those hot summer months. It smelled like burnt piles of collected leaves, the cough of a newly revived chimney, roasted chestnuts, the scent of a man's hands after hours spent in a wood shop.
The Strange and Beautiful Sorrows of Ava Lavender ― Leslye Walton



Oggi ho fatto una di quelle lavatrici squallide, con l’intimo, i calzini spaiati rimasti sul fondo del contenitore porta panni sporchi e tutti quegli shorts, vestitini e altri capi d’abbigliamento che fanno tipicamente estate vissuta sul terrazzo e che mi hanno comunicato definitivamente che l’estate è finita. Come se ancora non lo avessi capito con il freddo che tira, la felpa già indossata e quel profumo d’autunno che serpeggia nei vicoli, con l’umidità che trasuda dai mattoni color biscotto e la condensa sui vetri della finestra. Con quel vago senso di claustrofobia, acceso dal vino rosso e dalle caldarroste e dall’odore della torta di mele che arriva dal forno acceso.
E sembra tutto perso, tutto che si addormenta, andando in letargo, trascinandosi i ricordi dell’estate e la freschezza delle ciliegie mature e quel brio che accompagna la partenza, irrimediabile come solo una nevicata a novembre.



Fuori dalla finestra, due giorni fa

martedì 22 settembre 2015

Ridondanti scampanellii




Sono giorni instabili questi, fatti di lacrime e dispersione, recriminazioni e malattia, ma credo che in un certo senso, questa fase di stallo finirà. Cerco nuovi stimoli eppure resto ancorata alle mie vecchie abitudini. E mi accorgo, in un mondo che non avrei mai pensato, che il mondo è pieno di gente cattiva pronto a saltarti addosso e a divorarti, con una rabbia esagitata, appena commetti un passo falso, appena ti esponi, appena capisce che sei facilmente condizionabile, appena intuisce che può farlo. Ci si lamenta tanto della perdita di dignità e poi, nel tentativo di mettere in luce scelte sbagliate e mancanze gravi si cade dall’altra parte, si finisce che per dare ragione, ci si scontra con il torto, in un ciclo che non finisce mai.
E mi ci ritrovo in mezzo, a questo calderone inconsistente, a dare adito a parole cattive e a insinuazioni sconvolgenti. E resto impassibile mentre si discute, si litiga, si precipita. Qual è il confine tra giusto e sbagliato? Quali sono le giustificazioni che si impugnano di fronte ad una vita grama?
E allora in un certo senso ti ritrovi a scappare a chiederti perché, perché non è finita, perché sei ancora lì a dibatterti sulla scelta giusta. Il motivo è molto semplice, se te lo chiedi, hai molte più possibilità di compierla. Se te lo chiedi non sei perduto di fronte all’esigenza di compiacere gli altri.
Ho tante idee in testa e nessuna concreta. Vorrei realizzarmi. Eppure so, in un certo senso che non ho ancora quelle basi per farlo, so in un certo senso che non ho idea di che fine farò. Perché in fondo sono fottutamente fragile. Non so come osare, come spalancare le ali, come liberarmi dei fardelli che ancora mi tengono ancorata al terreno. Motivazioni per uscire dal seminato ne avrei a bizzeffe, ma è sempre quella paura di atterrare pesantemente sul fondo del calderone che mi fa desistere. E sono ancora qui. 

domenica 13 settembre 2015

Svegliatemi… quando settembre è finito

Vi sono suicidi invisibili. Si rimane in vita per pura diplomazia, si beve, si mangia, si cammina. Gli altri ci cascano sempre, ma noi sappiamo, con un riso interno, che si sbagliano, che siamo morti.
G. Bufalino



Settembre è un mese strano, è quel mese in cui tutto sembra ricominciare, dopo essersi sfaldato durante l’estate. È quel mese che guardi con fiducia, perché sembra promettere con il suo arrivo un lampo di novità, di freschezza. Tutte le cose ricominciano a settembre, l’anno accademico, la programmazione televisiva, il campionato di calcio.
Eppure siamo quasi alla metà di settembre e io sono ancora nella stessa posizione di partenza, alla fine, con la corsa che è al penultimo giro e la sensazione di aver sprecato ancora tempo.

E allora? Non lo so, continuo a rigirarmi nel letto, con quell’odiosa sensazione di non aver vissuto davvero, la voglia di fare, mille progetti, schemi e varianti e alla fine mi rigiro con i miei libri in mano e quel fottuto senso di impotenza.



giovedì 27 agosto 2015

Come un pezzo di ceramica

Odio la vile prudenza che ci agghiaccia e lega e rende incapaci di ogni grande azione, riducendoci come animali che attendono tranquillamente alla conservazione di questa infelice vita senz'altro pensiero.
G. Leopardi



Mi sento come un pezzo di ceramica, resistente, resiliente, un biomateriale sotto molti aspetti, capace di adattarsi al luogo in cui viene posto, ma che basta un colpo ben assestato per distruggerlo. Ecco se proprio dovessi paragonarmi a qualcosa mi paragonerei ad un vaso di ceramica, che viste le fattezze mi rappresenta al meglio. Sono intrinsecamente fragile, un osso che cresce e si sviluppa, crea la sua colonia, ma basta un niente, una caduta, per rompere.
Nonostante mi sia abituata a tante cose, nonostante abbia anche afferrato il concetto che non posso e non devo starmi a crogiolare nell’autocommiserazione, pure credo di non essere capace di uscire da quel circolo vizioso che mi avviluppa i pensieri.

Oggi riflettevo su quanto poco basti per distruggere un equilibrio fatto di consuetudini, che ad ogni azione corrisponde una reazione, quella terza legge della dinamica che arriva a mordere la coda di ogni passo, in qualsiasi direzione. Ed è più facile far del male che far del bene, che noi siamo prima di tutto degli egoisti, che ci muove, che ci spinge ad arraffare un pezzo di felicità imprevista e fuggevole. Eppure mi guardo intorno e vedo solo una crudeltà gratuita, un istinto ad urtare il prossimo e a privarlo di quella chance alla felicità che ostinatamente si va cercando. Ed è assurdo fermarsi a questo stato di inciviltà che ci priva del nostro essere animali dotati di intelligenza. Si tratta sempre di una guerra spietata, un odio feroce, un istinto ignobile. L’umanità a volte fa davvero schifo.


Vaso di ceramica cretese

martedì 18 agosto 2015

Ogni lacrima è una goccia che sana il terreno su cui cammino

“Just... isn't giving up allowed sometimes? Isn't it okay to say, ‘This really hurts, so I’m going to stop trying’?”
“It sets a dangerous precedent.”
“For avoiding pain?”
“For avoiding life.”
Fangirl, Rainbow Rowell



A volte è dura, tutto, anche i gesti più semplici e inconsulti. E ti guardi intorno e vedi lo sfacelo che ci circonda, quella sensazione di essere in guerra anche quando apparentemente non lo si è. E niente sono due mesi, e la mancanza è un vuoto atroce, quell’assenza che deriva dalla presenza costante, che ti lascia in uno stato catatonico costante. E ok vai avanti con la tua vita, fai progetti, cerchi di non pensare, ma il vuoto esiste. E quello stare immobile di fronte  ai confini del mondo debilita più di un attivismo acceso e costante.

Ogni lacrima è una goccia che sana il terreno su cui cammino.








martedì 28 luglio 2015

Un fottutissimo giorno qualunque

“I DON'T CARE!" Harry yelled at them, snatching up a lunascope and throwing it into the fireplace. "I'VE HAD ENOUGH, I'VE SEEN ENOUGH, I WANT OUT, I WANT IT TO END, I DON'T CARE ANYMORE!"
"You do care," said Dumbledore. He had not flinched or made a single move to stop Harry demolishing his office. His expression was calm, almost detached. "You care so much you feel as though you will bleed to death with the pain of it.”
J.K. Rowling, Harry Potter and the Order of the Phoenix



Certi giorni iniziano a cavolo e finiscono anche peggio, certi giorni sono terribili, vorresti solo avvolgerli da capo e buttarli via. Oggi è un giorno molto triste per me, un giorno qualunque che si è trasformato in tragedia, e ancora non riesco a capacitarmene, ancora stento a credere a quella mezz’ora che ha cambiato di nuovo, irrimediabilmente, per sempre, l’assetto della nostra famiglia.
E sono incazzata perché non è giusto, perché è tutto una merda, perché non sarebbe dovuta finire così, perché mi sento responsabile. Perché doveva essere un giorno qualunque, e invece è diventato un giorno schifoso.





venerdì 24 luglio 2015

#NESSUNASCUSA

A volte devi uscire dal tuo piccolo mondo annaspando e ritrovarti a riflettere su fatti che vanno oltre te, ma che in effetti riguardano anche te. Sono una ragazza di ventisei anni, e necessariamente devo fare i conti con un mondo ancora perversamente costituito da contraddizioni maschiliste e patriarcali, in cui un giudice, finisce per considerare irrilevante la denuncia di una ragazza di uno stupro di gruppo perché disinibita, libera, con una propria sessualità che non era repressa ma vissuta con la spensieratezza di chi sta bene nella propria pelle, e non ha bisogno di nascondersi dietro nessun falso perbenismo. Se leggete la sentenza di assoluzione in appello dei sei accusati per stupro di gruppo vi si accappona la pelle, con l’indomita declinazione della responsabilità sulla donna, che si era ubriaca ma consenziente, che non si è difesa abbastanza, che non si è lasciata prendere la mano da niente. Non voglio neanche commentare, perché d’altronde non ho gli strumenti per farlo, e altri hanno posto l’attenzione su ciò che è più raccapricciante quello che voglio fare è unire la mia voce al coro, prendere questo post e far risuonare lo sdegno che mi avvolge leggendo fatti che non dovrebbero far parte del nostro quotidiano.
Mi rifiuto di pensare che sia così facile mettere a tacere una ragazza, che ha vissuto un calvario fatto di scrutini minuziosi alla sua psiche, mentre gli accusati venivano strenuamente difesi dalle famiglie ben pensanti, incapaci di  riconoscere che i loro figli, cresciuti nel loro seno, erano colpevoli di un tale abominio. Che si differenzia che loro sono italiani, come se la loro nazionalità li proteggesse dall’accusa, come se il colore della loro pelle e il luogo in cui sono nati cancellassero la colpa, colpa di un reato, che ha distrutto la vita di tante donne, che sono state ingiustamente tacciate di essere “zoccole” perché hanno “invitato” l’uomo a mettere loro le mani addosso.
Io non lo so cosa a provato la ragazza di Firenze, né le tante altre prima e dopo di lei che hanno vissuto un tale orrore. Non lo so, e con un certo egoismo, spero di non provarlo mai, ma che si manchi in una tale misura di RISPETTO a una donna che è stata violentata mi riempie di raccapriccio. “Si è trattato di un raptus”, “era ubriaco”, “era malato”, “era geloso”, “lei si è messa una minigonna”, “lei aveva una scollatura pazzesca”, “lei ha ammiccato”, “lei ha accettato un drink”, “lei non ha ubbidito”. Lei, lui, accuse, recriminazioni, incertezze, luoghi comuni. È ora di finirsela, è ora che l’uomo che compie atti di violenza paghi le conseguenze dei suoi gesti, è ora che una donna  sia libera di girare con pantaloncini inguinali, trucco vistoso e tacchi alti senza la riprovevole accusa di essere “una facile”, “una che ci sta”. È ora che il “NO” di una donna, urlato o sussurrato in preda alla paura, sia accettato per quello che è, un “NO” ad un atto che se non consensuale è VIOLENZA.
Non possono esserci scuse ad un atto del genere, non possono cadere l’educazione, il rispetto, il sostegno ad una donna lesa nella propria intimità, qualsiasi sia il suo credo, la sua età, la sua personalità, il suo modo di fare, il suo modo di abbigliarsi.
Poi leggi una lettera del genere e ti rendi conto che lei, lei quella ragazza, è stata violentata due volte, e nessuno, nessuno, nessuno potrà restituirle quello che ha perso, quello di cui l’hanno privata: il suo diritto a dire no, il suo diritto di denunciare l’atto, il suo diritto a vedere giustizia fatta.
E allora mi sembra doveroso, in un qualche modo, far sentire il sostengo a chi come quella ragazza, si è vista privare di tutto. Mi sembra necessario far sentire la voce di chi crede che non esistono giustificazioni allo stupro, che chi viola una donna o uomo, che insomma chi fa violenza deve pagare, in un mondo in cui la giustizia funziona a dovere. E allora mi unisco alla foto petizione di Rete della Conoscenza contro ogni tipo di stereotipo e discriminazione, contro quelle dicerie e pregiudizi che condizionano la nostra società. Per un mondo migliore, perché non esiste #NESSUNA SCUSA. 


Al milionesimo selfie non riuscito ci ho rinunciato.
Sorry so che volevate vedere il mio faccione!

lunedì 13 luglio 2015

Summer is the time to cry

Questo per me è sempre stato un periodo attivissimo, in cui non avevo mai tempo per fare un tubo, ma sempre con l’entusiasmo di dedicarmi ad attività speciali, ricche, emozioni pazzesche, incontri. E studio, si perché la sessione estiva, ad ingegneria, chiudeva il 30 luglio. A volte il 2 agosto mi aggiravo ancora per i corridoi della facoltà invocando dei sconosciuti ai più e imprecando in tutte le lingue del mondo, reduce dall’ultimo tour de force realizzato di notte, con le occhiaie che arrivavano ai piedi e qualche argomento saltato a piè pari.
Anche l’anno scorso avevo così tante cose da fare, che arrancavo come non mai, ingozzandomi di torta con la mia coinquilina mentre mandavo giù a memoria nozioni di RF o facevo girare come un’invasata Abaqus, con quelle protesi JC e SR che sembravano finalmente girare, anche con i legamenti che facevano le biffe. Non mancavano gli “stronzo” lanciati al tipo del laboratorio di fronte, che faceva finta di lavorare ad un trabiccolo per misure microscopiche, e un pomeriggio che ho passato ad insultarlo passandogli giraviti e commentando il nostro futuro incerto. Ah che bei ricordi. La cosa bella era che lui mi dava corda e il nostro battibeccare era diventato fonte di intrattenimento per l’intero Beams, con il tifo di JC per lo stronzo, con quel “She deserves it” che mi è rimasto impresso più di qualsiasi altra cosa. Che poi, alla fin fine tanto stronzo non era, quel poveretto, che una volta che siamo usciti da soli (si poi è andato a scoparsi la sua vicina di casa spagnola meh!) che mi ero ostinata ad andare a “Bruxelles Les bains”, è venuto giù questo mondo e quell’altro, mi si è rotto l’ombrello, mi ha protetto dallo scroscio d’acqua più grosso mai visto e non  me lo ha MAI rinfacciato. Che c’entrava… ah di, se lo sapessi.






Mi mancano tantissimo tutte le mie estati precedenti, perché questa, nonostante il mio adorato blog e tanti libri, è tristemente vuota, segnata, per lo più dalla grande perdita di number. So… life sucks. Datemi un lavoro.

giovedì 9 luglio 2015

Memories

Certe volte ci ritroviamo a fissarci su delle immense cretinate, quelle cose che sembrano apparentemente inutili e invece, per noi, significano il mondo. Altre volte invece, non siamo abbastanza passionali, arriviamo a sfuggire a noi stessi, troppo spaventati dalle conseguenze. Non capisco perché in effetti non sono in grado di scappare da me stessa e dalla mia vita, ma sono ancora fondamentalmente legata a quelle stronzate che mi rivoltano lo stomaco, anche quando non significano più nulla. Quei fottuti ricordi continuano a strapparmi il cervello, la vita, l’anima.



lunedì 29 giugno 2015

Guest star

“I wish it need not have happened in my time," said Frodo.
"So do I," said Gandalf, "and so do all who live to see such times. But that is not for them to decide. All we have to decide is what to do with the time that is given us.”

The Fellowship of the Ring – J.R.R. Tolkien




La guest star di stasera è la borsa dell’acqua calda. Mentre progetto omicidi a danni di ignari malcapitati che riempiono la mia home di immani cazzate, ecco che mi contorco di dolori e il calore offerto dalla mia salvatrice è di inestimabile valore.

Intanto verso calde lacrime nei confronti di una esistenza che scorre piatta e sempre uguale, con quella consapevolezza che sto buttando via il mio tempo e la mia vita. Languo, procrastino, sono insomma la solita indolente. Dio quanto odio la mia indolenza, eppure, eppure non riesco a far niente per cambiare, eppure sono qui, con la borsa dell’acqua calda addosso a fissare la home che si aggiorna. 

venerdì 26 giugno 2015

Recensioni random #1



Sono ancora molto incredula/stupita, di non essere stata vittima di una truffa, ma insomma, quando ti scrivono se vuoi provare e recensire un paio di cuffiette, te che ti occupi prevalentemente di libri, qualche domanda te la fai. Ma insomma, invece sono una persona fica *smirk*.
La SoundPEATS si è comportata in maniera esemplare e sono stata omaggiata di un paio di Cuffie auricolari bluetooth Qy7 Mini leggere e Wireless Stereo.






Devo dire che ecco non so da dove iniziare con questa recensione, quindi innanzitutto questo è quello che trovate nella scatola:

- 3 paia di adattatori in-ear (piccoli-medi-grandi)
- 3 paia di archetti in silicone per fermarli all’interno del padiglione auricolare interno (piccoli-medi-grandi)
- Un cavo usb-micro usb per la ricarica (10 cm)
- ovviamente le cuffie QY7
- 3 paia di archetti adattatori in silicone per il padiglione esterno di forma diversa rispetto ai precedenti (piccoli-medi-grandi)
- 3 paia di archetti adattatori in silicone per il padiglione esterno di forma ancora diversa e più rigidi (piccoli-medi-grandi)
- una clip di sicurezza comodissima per fissare il cavetto agli abiti, collegabile al filo con un piccolo adattatore dello stesso colore del cavo
- Un piccolo manuale pieghevole in inglese






Ho provato le cuffie per diverso tempo e devo dire che sono molto confortevoli, le ho usate sia spiaggiata in camera che camminando a passo sostenuto (sono una pigrona, e che non corro, nope) ma vi assicuro che la resa è buona. Una volta trovata la posizione confortevole per il vostro padiglione auricolare, le cuffie restano in posizione, a meno che non iniziate a contorcervi come una tarantola. La qualità audio è soddisfacente, e il bluetooth regge fino a tre metri, ma considerando che il vostro smartphone resta sempre nelle vostre vicinanze, non ci sono problemi. Funziona il tutto anche se tenete il telefono in tasca. Ottima risposta anche per il microfono, e l’interruzione immediata della musica sia per una telefonata entrante, che per un messaggio o qualsiasi segnalazione acustica, anche in caso di whatsapp. Le istruzioni per il pairing con il cellulare sono veramente semplici, ci sono riuscita io che sono una vera incapace, ci possono riuscire davvero tutti.
Considerate che io uso il sistema Android, ma funziona senza problemi anche per Apple.
Le cuffie sono leggere e maneggevoli e l’astuccio carinissimo e davvero poco ingombrante, è abbastanza rigido da essere sbattuto in borsa e poco ingombrante. Direi che c’è un ottimo rapporto qualità prezzo e che decisamente, ne vale la pena.

Il verde, che credevo fosse orrendo, invece è davvero molto bello. In realtà ci sono anche in giallo e in nero, ma il verde è più cool (certo pongo l’attenzione sui dettagli più utili!). 



giovedì 25 giugno 2015

Manchi...

È passata già una settimana da quel terribile 18 giugno e viviamo ancora in una dimensione sospesa, con quel senso di perdita che non se ne va e la sensazione, inarrestabile, che manchi qualcosa. E dappertutto, ovunque ci si giri in questa casa, ci sono i segni della tua assenza.
Ogni tanto mi ritrovo ad alzare la testa verso il tuo posto, quell’angolo del caminetto in cui ti accucciolavi, e anche se abbiamo tolto il cuscino, quel cuscino che ha accompagnato la tua dipartita, pure quello è il tuo posto, e non vederti lì, con il musetto allungato verso l’alto è un colpo terribile. Quei colpi che neanche mi immagino, che neanche riesco a concretizzare. E la tua cuccia è ancora qui, in camera nostra, in attesa di qualcuno che non ci entrerà più. Avere la forza di chiuderla in un sacco e riporla in garage si sta rivelando molto più difficile del previsto. La tua ciotola è ancora al solito posto, lì sulle scale, per continuare ad inciampare ogni volta che prendiamo quella di Pippo.
Pippo che probabilmente continua a cercarti, ma si gode le coccole doppie e l’affetto che riversiamo su di lui, perché tu, tu, non ci sei più.

E come fai a passare sopra a quindici anni della nostra vita? Con i ricordi che arrivano e ti sorprendono alle spalle, e il tuo nome che ancora sfugge dalle labbra, seguito da quel momento di silenzio, in cui trattenere le lacrime diventa ogni giorno un po’ più facile. A volte mi ritrovo a fermarmi sulle scale, per aspettare il tuo arrivo zoppicante per prenderti in braccio e andare a fare la nostra passeggiata. A volte, cerco disperatamente di trattenere il “number” che vuole uscire, perché sarai per sempre il numero uno. Ed è  terribile sapere che abbiamo scelto, anche se la scelta era obbligata, anche se era l’unica possibile.


Io e Pluto <3

sabato 13 giugno 2015

Caput

“I don’t trust anybody. Not anybody. And the more that I care about someone, the more sure I am they’re going to get tired of me and take off.”

Fangirl – Rainbow Rowell



Sapevo che sarebbero cambiate molte cose, ho capito che niente può essere come ce lo siamo sempre immaginati, so che è più facile perdere che vincere, che a volte le vittorie sono solo vuoti a perdere, dei fottuti colpi di fortuna. Quando ti rendi conto di essere rimasto da solo, di non avere più gli strumenti per superare l’inferno di spine che ti dilania il cuore, allora ti rendi conto di aver perso davvero tutto. Anche guardare una foto ti spezza, anche vedere un sorriso ti dilania, anche una parola taciuta ti lascia a pezzi.

Cercare le risposte alle domande che minacciose si rincorrono nel cervello diventa difficile, se non impossibile. E allora come mi salvo? 

martedì 2 giugno 2015

AAA Cercasi lavoro

Ah come sanno anche i muri sto cercando lavoro, da mesi ormai. Si mesi, ok… mi sono laureata il 18 febbraio e da allora sto cercando un’occupazione. Contiamo il fatto che a marzo ho sostenuto il TOEFL, senza neanche seriamente prepararmi, e infatti ho finito per prendere 90/120 (ho toppato lo speaking una domanda su cos’è la felicità per me, neanche in italiano saprei rispondere. E il saggio del writing sull’inquinamento e le soluzioni dei governi? Bah…). Perché io sono così provo un determinato entusiasmo per una certa cosa, ma poi non ho costanza, mi lascio distrarre e alla fine ottengo risultati mediocri. Vogliamo parlare del fatto che mentre scrivevo la tesi mi sono messa ad organizzare un progetto complicato con il mio lit-blog insieme ad altri 8 blog?
Insomma, di certo non riesco a stare con la testa su una sola cosa e finisco per avere un feedback che si perde nella mediocrità. Sono imprevedibile e ho bisogno di avere stimoli. Questa forzata immobilità mi sta letteralmente mandando via di testa. Apprezzo il fatto di avere le giornate vuote, in discrezione di quello che ho voglia di fare, ma allo stesso tempo mi sento in crisi, incartapecorita nel mio essere disoccupata. Studiare ingegneria mi ha tolto tantissime energie, la specialistica è stata davvero un incubo, sono partita per l’Erasmus con la voglia di mettermi in gioco e stare sei mesi a Bruxelles è stata l’esperienza più meravigliosa della mia vita. Una volta tornata con la depressione post Erasmus ancora in circolo (esiste, è reale, ed is a bitch da sopportare) mi sono messa sotto e in cinque mesi ho dato i cinque esami che mi mancavano, quelli più tosti del mio piano di studi, RF, Compatibilità, Sicurezza, Micro e Nano Elettronica e Robotica assistiva che comprendeva anche un progetto di gruppo che io ho finito per fare da sola. Un calvario fatto di formule di elettromagnetismo, dimostrazioni, progetti con software che capire era un massacro e l’urlo di fare un esame a mese, che sennò a febbraio non mi laureo. Ultimo esame 13 gennaio, ultimo termine per fare esami 15 gennaio. La tesi, su cui ho lavorato a Bruxelles, scritta in un mese, in cui uscire di casa era un lusso che non potevo concedermi. RF che ho dato ad una settimana dal mio rientro a casa, con l’ansia di un esame su cui ho sputato sangue con quei dannati mosfet che in via teorica sai come funzionano, con i semiconduttori che friggono, ma che poi vallo a spiegare con le buche di potenziale e la meccanica quantistica che piega le tue conoscenze e mette alla prova la tua pazienza.
E ora eccomi con un esame di stato rimandato a data da destinarsi, voglia zero di studiare e il dover ripiegare su un Dottorato, che proprio all’università non ci voglio stare. Ma girando a far colloqui mi sto rendendo conto che non so davvero cosa voglio far da grande, quel grande che già sono e che devo spicciarmi. Ringrazio il cielo che ho ancora i miei a tenermi un tetto sopra la testa e che mi danno cibo in mano, ma alla fin fine io vorrei scappare da questo Borgo perduto tra le colline, voglio di più di quello che mi freme tra le mani. Voglio la mia indipendenza economica, voglio viaggiare, voglio l’America. Ma trovare un impiego è un lavoro a tempo pieno e forse lo sto facendo in maniera sbagliata. Io non ho esperienza e non so neanche se voglio davvero fare l’ingegnere. Le protesi, quel maledetto occhio bionico che ha segnato la mia strada, mi ispirano, ma… mi vedo davvero a lavorare in questo settore? Non lo so. Non mi sento un ingegnere e in fondo, in questo momento, per la maggior parte del tempo ho le mani in pasta con i libri, leggo libri, recensisco libri, parlo di libri. Ma con un percorso universitario così lontano dall’editoria, potrò lavorarci dentro? È sempre quel maledetto problema di essere un essere così ibrido, interessato di arte, cultura e scienza. Ho passato otto anni della mia vita a far volontariato in un ufficio turistico, amando il rapporto con gli altri, vivendo di visite guidate e chiacchiere con la gente, istruendole sul mio paese, parlando della vita della mia comunità e mi ci vedo in quella veste, mi ci vedo a farlo per la vita… ma come dove perché non lo so.

Insomma sono una neolaureata disoccupata che non sa cosa vuole dalla vita. E fa schifo!

sabato 23 maggio 2015

Di grasso e altri problemi

Io a Bruxelles fuori una pasticceria, con dei cioccolatini,
la mia borsetta Carpisa preferita XD


Ok non pensavo minimamente di aggiornare questo blog così spesso, ma diciamocelo, ci ho preso gusto, perché adoro ciarlare e visto che mi piace ascoltare il tono della mia voce, mi ritrovo a scrivere più spesso di quello che pensavo.
Mi ricollego direttamente alla recensione che ho postato oggi di Fat Girl Walking di Brittany Gibbons, e che mi ha vista direttamente protagonista. Ho deciso di leggere “Fat Girl Walking” per due motivi: il primo è che mi hanno invitato a partecipare a questo tour direttamente i pubblicisti di HarperCollins con cui collaboro assiduamente da più di un anno e io adoro questa casa editrice. Il secondo è che questo libro tratta tematiche a me molto care, perché anche io sono sempre stata la “fat girl” della mia classe sia alle medie che al liceo e gli anni delle scuole medie sono stati i più traumatici della mia vita. Mi sono identificata così tanto con Brittany Gibbons durante la lettura che sono andata a vedere il suo blog, che non conoscevo e ho apprezzato tantissimo quello che fa. E insomma è un ottimo esempio per il progetto de #LePrincipesseSiSalvanoDaSole. Insomma un libro che parla di donne e problemi veri delle donne. 
Non è facile parlare di sovrappeso. Questo perché il sovrappeso racchiude in sé molti altri problemi. La vergogna e lo stigma di essere la persona più grossa della tua classe, del tuo posto di lavoro, della tua università, della tua famiglia, evolve sempre in scarsa autostima e paranoia. Ho vissuto e vivo gli stessi dubbi di Brittany, che vive i complessi meccanismi di ansia e imbarazzo che avvolgono l’esistenza di una persona che si sente fuori posto in qualsiasi situazione. Eppure quella sensazione di mero imbarazzo, l’awkwardness che caratterizza ogni passo di una persona che si confronta con un mondo il cui standard è una modella taglia 40, spesso sottopeso, prima o poi scompare. Perché quando ci si accetta per quello che si è, pregi e difetti, le cose migliorano, si stazionano, ci si rende conto che è possibile essere sereni nella propria pelle. È vero che se al proprio fianco non si hanno dei modelli in grado di aiutare non solo ad accettarsi ma a vivere bene, è molto più complicato crescere in maniera sana. Ma il bullismo, le prese in giro, la discriminazione, che viene anche dall’essere scelti sempre per ultimi negli sport di squadra (true story) alimenta un mostro, che vive dentro di sé e che prima o poi scoppia. Certi episodi sono drammatici, soprattutto nella mente di chi non riesce ad accettarsi. Quando ero alle medie uno degli insulti ricorrenti che ricevevo era "Balena", ma anche il classico "Palla di Lardo" non mancava. Io ho sempre avuto i libri in cui rifugiarmi, avevo un gruppo di amici che più o meno mi accettava, a discapito del mio peso corporeo, eppure ho sempre vissuto il confronto con gli altri in maniera negativa. Andare nei negozi e non trovare la taglia del vestito che vuoi è sempre un duro colpo per la tua autostima. 
È un circolo vizioso, soprattutto per chi usa il cibo come arma e come difesa, quella fame nervosa, quel ricorrere al cibo per stare meglio, per sedare il dolore che attanaglia le viscere. E' sempre stato il mio sistema di default. Stavo male? Vai di dolcetto. Qualcuno mi prendeva in giro? Mangiare era la soluzione. 

Al momento sto bene, sono serena, so che non sarò mai una taglia 40, ma non mi sembra che sia questo l'obiettivo di una vita. Quando si cresce, si elimina un po' quella sensazione di essere fuori del gruppo, che mi sono portata dietro, e la sostanza non è più l'esteriorità. Quello che conta sono i propri sentimenti, quello che si costruisce in sé, quel mero disincanto che viene dallo scoprire che il mondo non è il liceo e la comunità in cui si è cresciuti, ma è davvero una distesa sterminata di strade e volontà. Si capisce anche che in fondo l'opinione degli altri non conta nulla, che ciò che conta è solo la propria opinione. E non si è mai soli. Ci sono altre persone che lottano con gli stessi problemi, che hanno la stessa tristezza cronica e la stessa perturbazione dii fronte agli insulti e la prepotenza degli altri. Credo che il dialogo sia fondamentale, che riconoscersi, sia importante. Non bisogna nascondersi dietro trucchi, suggestioni o paure. Ognuno è perfetto, a modo suo. 


Io ad Anversa, in tutto il mio splendore
da chubby girl!


venerdì 22 maggio 2015

La pioggia no...

Questa è crudeltà contro chi, come me è una lucertola. Dove è finito il sole di maggio? Dove quel clima mite, temperato, e assolutamente godibile che prelude a simpatiche scampagnate all’aria aperta? Voglio il caldo e il mare, perché inevitabilmente da perfetta freddolosa preferisco scaldarmi su una spiaggia che congelare sulla neve. La pioggia scende inesorabile, un temporale con i fiocchi, che sembra promettere distruzione. Un po’ quello scenario da apocalisse, un po’ quell’inevitabile clamore da lampi, tuoni, fulmini e saette, uno Zeus furioso che non perdona. Sopporto tutto tranne che la pioggia, la pioggia no, ti prego, piuttosto qualsiasi altra cosa. Ma la pioggia no.

mercoledì 20 maggio 2015

Di compleanni e altre amenità




Sono una che procrastina, che rimanda, che afferma con convinzione “c’è tempo anche domani”, che dilata il tempo, che si riduce all’ultimo momento, che proroga, che dilaziona, che rinvia, che differisce, che non prende mai una decisione subito, che ha bisogno di tempo, che non crede nella fretta, che si abbandona a immagini mentali che le sembrano più tangibili della realtà.
Sono la classica persona che si perde nei suoi pensieri, che non è mai contenta di come stanno le cose, che vuole di più, che cerca una scorciatoia, che è stufa marcia di dannarsi l’anima per ottenere risultati mediocri e poco soddisfacenti.
Sono il tipo che si perde nei ricordi, che sguazza nella malinconia, che vive di nostalgia, che si frantuma il cuore dietro speranze vane e irrealizzabili, che crede nel senso delle parole, che si fa mille paranoie, che analizza a sfinimento un sorriso e uno sguardo, che alla fine non agisce.
Sono indolente e poco comunicativa, mi perdo, parlo di argomenti superficiali, che restano ancorati solo dietro al mio sorriso, quello che regalo al mondo, perché è più facile sorridere che rivelare il muro di mattoni dietro l’intonaco immacolato.
Il mio senso del dovere frantuma la spontaneità di gesti irrequieti, mi chiudo dietro catene argentee che frenano il mio entusiasmo, sono spinta da moti istantanei e inconsistenti che decadono nell’arco di un nanosecondo.
Sono ferma, vittima di un’evoluzione statica che si perde nei meandri di un tempo imperfetto e inconsistente.
Avete presente la sensazione di riaprire il vostro libro preferito, leggere le righe che conoscete a memoria, seguire le pagine con il guizzo della prima volta, ma in fondo il retrogusto di sapere a cosa andate incontro. Non c’è modo di sfuggire alla morsa di quello che sta per succedere eppure, siete costretti a riviverlo, a riassaporarlo, a sentire le stesse emozioni e gli stessi aghi pungere. La mia vita è così, un vuoto a perdere, un tornare di nuovo a rivivere gli stessi episodi scialbi e a perdermi nelle stesse vicende, senza averci davvero mai capito nulla.
E allora mi struggo nei ricordi.
Un anno fa ero a Bruxelles, alla Université Libre, a maledire il progettista della protesi che avrei dovuto usare per le mie simulazioni. Era il primo compleanno del nostro gruppo e divenne la norma, festeggiare da noi. La sera prima avevo preparato, a mezzanotte, una torta, una crostata di frutta. Nella mia inesperienza di cuoca sgangherata non mi ero resa conto che la frolla cresce, si gonfia al centro e dopo un errore strutturale ero pronta a ricominciare da capo. Ma il mio coinquilino, M., mi suggerì di rivoltarla e usarla lo stesso “che tanto del buco al centro non si accorge nessuno”. E in effetti, quando la portai in laboratorio, tutti ne restarono fulminati. Persino il prof, che la trangugiò come non mai. La sera dopo vari tentennamenti organizzammo una cena nel nostro appartamento. Avrei dovuto prepararla da sola, ma lo stronzo della situazione, perché diciamocelo, c’è sempre, si offrì di aiutarmi. La spesa insieme, la musica del suo telefono, accontentandomi con i Coldplay “che li adoro” e piccole attenzioni e sguardi complici. Il sugo come lo fa lui non lo fa nessuno, la crema al cioccolato perché “ci vuole un altro dolce” e la birra. Una serata meravigliosa…  con le foto, perse, perché il mio HD si è bruciato e ancora non sono riuscita ad andare a ripararlo.
Quest’anno sono a casa, ma la tristezza mi avvince, e anche se non so ancora cosa farò, di certo mi struggerò per l’anno scorso.
Buon compleanno a me!

martedì 19 maggio 2015

Atto #1: Introduzione

Avevo bisogno di uno spazio dove ciarlare di tutto o niente, dove scrivere di altro, che non fossero libri. Please Another Book è la mia vita, il mio pensiero fisso nel corso della giornata, ma in fondo ho mille altri interessi, interessi che finiscono sempre in secondo piano. Questo vuole essere un po’ come quei contenitori vuota tasche che si posizionano all’ingresso, vicino alla porta, e dove si accumulano oggetti tenuti in giro per tutta la giornata.

I contenuti saranno vari, con cadenza  casuale, una specie di diario di bordo da personalizzare man mano che il tempo passa. Non so ancora cosa ne farò, ma ecco questo è il primo passo.