lunedì 27 giugno 2022

Il consulente

Il lavoro del consulente è un’attività stressante, che mal si coniuga con persone che tendono a scoppi di ira incandescente e alla mancanza di compromesso. È una continua ricerca della frase giusta da pronunciare, dell’atteggiamento più consono da tenere, del vestito più adeguato da indossare. Il consulente è un equilibrista che si muove sugli umori del cliente, un funambulo che fa della crisi un momento in cui riscoprire nuove capacità dialettiche. Il consulente non deve neanche essere particolarmente geniale o innovativo, molto spesso ciò che conta sono le sue capacità di adattamento, il suo lavorare senza sosta, la sua voglia di vincere. Pare che i consulenti siano degli squali senza scrupoli, quasi peggio degli avvocati, che pur di accaparrarsi la commessa migliore non si lasciano scoraggiare da niente, si impegnano per cercare di emergere nella luce migliore. È tutto un dare e avere, un intreccio di relazioni, di stima reciproca. È un lavoro che molti intraprendono per ripiego, perché fare orari massacranti, avere a che fare con persone isteriche non è proprio l’aspirazione di tutti, ed è inevitabile che prima o poi si cambi, ma è anche estremamente stimolante, sempre diverso, sempre unico. Essere un consulente è più una questione mentale che un lavoro, perché deve interessare ogni aspetto della vita, il che la rende un’attività sfinente. È una lunga corsa alla sopravvivenza, un mettere un piede dietro l’altro per arrivare a fine giornata senza perdere pezzi della mia sanità mentale. Gli ultimi mesi sono stati una straziante lotta a chi arriva prima alla meta, un tira e molla per portare a casa i risultati richiesti, un’estenuante battaglia al compromesso per non farci cacciare dal progetto. Fare il consulente è una guerra costante al raziocinio, un continuo evocare scorte di pazienza, che speri sempre si moltiplichino, invece di scomparire e prosciugarsi per sempre. È una corsa agli ostacoli, un raffinarsi dell’arte del far credere all’altro che ha avuto le idee migliori, quando in realtà sono le tue. Un consulente è un equilibrista sul mood del suo referente interno, una partita a Risiko, dove la scacchiera sono le scelte progettuali.

martedì 14 giugno 2022

Forse dovrei smetterla di leggere ff

Ieri sera ho letto una storia in cui uno dei protagonisti decide di trasferirsi in Australia con il suo partner, la relazione fallisce e quando si ritrova da solo, senza una vera rete, con gli amici lontani, senza famiglia, inizia a pensare "se mi ammalo e dovessi fare la chemio chi mi accopagnerebbe in ospedale? chi mi starebbe vicino?" che mi ha lasciata completamente sconvolta perché era una cosa a cui non avevo mai pensato e ho iniziato a paranoiarmi. 

Sono anni che vivo da sola lontana dalla mia famiglia e anche se ho delle amiche speciali vicino a me ho iniziato a pensare che in realtà non c'è nessuno che chiamerei davvero perché mi sembrerebbe di essere inopportuna, di invadere, di chiedere troppo. Ho visto con i miei occhi cosa può fare la malattia, quest'anno ne sono stata toccata di nuovo ed è stato devastante e non l'ho neanche vissuto in prima persona. Mi viene da piangere a pensare di dare questo peso a qualcuno. Anche darlo alla mia famiglia, soprattutto ora che ne sono così lontana. Quando sto male cerco sempre di minimizzare, minimizzo qualsiasi cosa pwd proteggere chi amo. Penso ai miei e mi dispero già per quello che succederà nei prossimi mesi e la mia testa è così sottosopra che non riesco neanche a tenere le fila di me stessa. Leggere una storia con dei pensieri del genere mi ha spezzato il cuore e mi ha sconvolto ancora di più. Mi sento incredibilmente sola. Pur apprezzando tantissimo la libertà e l'indipendenza di vivere in un posto che posso chiamare mio, senza dover dar conto a nessuno con i miei ritmi e le mie scelte, pure mi sento devastata dalla consapevolezza che sono sola. Adesso più di prima. Forse l'isolamento di qualche settimana fa mi ha dato molto la misura della solitudine e se pensavo di averla abbracciata appieno adesso non lo so. Questa domanda "se dovessi fare la chemio chi chiamerei ad accompagnarmi in ospedale?" ha spalancato ancora di più una voragine che mi consuma dentro, che si rivolta contro me e la mia inconcludezza. Perché forse è vero che sono io che non riesco a rimanere accanto agli altri, sono io che cerco di preservare la mia bolla prossemica e poi finisco abbattuta da una riflessione del genere che ho letto in una fanfiction. Effettivamente forse dovrei smetterla di leggerle. Per fortuna nella storia c'è un happy ending. Spero che ci sia anche nella mia. 

martedì 19 gennaio 2021

Adesivi

Credi di sapere dove ti porteranno queste scale e la fatica che si dirama dalle tue gambe sfregiate dal cammino, i tuoi piedi abbandonati nel parcheggio. Eppure continui a immaginare il rumore della tua felicità che torna a trovarti calda e sofisticata in mezzo alla palude che accoglie i tuoi sospiri. 
Sono di quelle che non aprono i pacchi degli adesivi per paura di finirli, rovinarli, distruggerli. Li conserva in eterno finché non smettono di avere senso, e a quel punto non li usi perché non ti rappresentano più, non hanno al loro interno il significato implicito che racchiudevano quando li hai comprati. E cosa te ne fai di adesivi del genere? Te ne sbarazzi. E alla fine hai perso un'occasione.
Si dice che c'è sempre una via di uscita, devi solo avere la lucidità di trovarla. A me non resta che aprire la porta e rendermi conto che era solo tutto nella mia testa. 




giovedì 14 gennaio 2021

Se solo avessi le parole

Se solo avessi le parole ti scriverei una di quelle lettere strappalacrime capaci di spezzare tutte le catene che di solito ci portiamo appresso.
Se solo avessi il coraggio ti confesserei questo amore cristallizzato nella mia noia e nella mia fragilità nascosta e mai condivisa. 
Se solo ci fosse la possibilità in questo momento non starei ferma in un posto, sarei già volata accanto a te per realizzare che probabilmente questo è solo un mio assurdo desiderio, una mera conseguenza di questa situazione senza capo né coda. 
C’è sempre questa latente sensazione, questo bramare cose che non abbiamo quando la stasi diventa troppo lunga. Questa sensazione di immobilità che deriva da questo lockdown che non finisce anche se si può uscire non ho più le forze, lo stimolo, la voglia. Vorrei solo stare sotto le coperte ed aspettare quando mi diranno “si è davvero finita”. Ogni giorno alzarmi dal letto diventa sempre più difficile, sempre più remoto, perché qual è la motivazione per affrontare ancora giorni tutti uguali, giorni che si ripetono attraverso la lente di ingrandimento dell’inizio della solitudine, della fine della nostra normalità. È come un attentato, lo scoppio di una guerra che cerca di risolvere dei conflitti e finisce solo per crearne di nuovi. 
E qui c’è solo tanta disperazione per la vita che si sfilaccia e il cerchio che si chiude. 

mercoledì 4 novembre 2020

If you gain some, you lose some

Ci credi che è volato un altro anno e quasi non riesco a percepirne appieno le conseguenze? Ma ci rendiamo conto che è quasi un anno in cui lavoro senza la sua ombra malvagia e non riesco a capacitarmene e a riconciliare la mia immagine attuale con quella dello scorso anno? Vero, non riesco a farlo a prescindere, con quello che sta succedendo in questo 2020 che davvero ci ha portato via tanto, tantissimo, ma personalmente mi ha dato tanto, tantissimo. Dovevo scontarla in qualche modo la libertà, pagando con altra moneta di scambio. “If you gain some, you lose some” perché ci deve essere sempre un equilibrio nelle forze cosmiche. Ma non riesco a fare i conti con la disperazione che mi aveva assalito lo scorso anno al rientro dalle mie ferie in cui emotivamente ero a pezzi con la voglia di buttare tutto per aria, un lavoro che mi stava portando via pezzi di lucidità e salute. Eppure alla fine sono ancora nello stesso punto a macinare le stesse incomprensibili spiegazioni al perché posso resistere ancora un po’ mentre cerco di meglio. Non so cosa mi abbia spinto a non demordere, una buona dose di caparbietà, la consapevolezza che senza uno stipendio non posso vivere da sola, e che a Torino in fondo ci sto bene. Non so quest’anno mi ha presentato una diversa prospettiva su me stessa e sul mondo, mi ha regalato nuove ansie e frustrazioni, tanti abbracci che non avrei mai pensato di dare, innumerevoli notti e insonni e nuovi modi per combattere la noia. Ma allo stesso tempo, in questo momento, vorrei poter fare una valigia e andarmene. Dove non lo so, che stiamo messi tutti nello stesso modo, con la sensazione di non uscirne mai più e l’inevitabile senso di isolamento che imperversa imprescindibile nelle nostre vite. E allora sono ancora intrappolata tra le mura del mio monolocale con il disegno di Kim Seokjin che mi fissa negli occhi con il suo intramontabile fascino. 





lunedì 27 aprile 2020

La sindrome dell’arto fantasma

Per caso ho sentito la tua voce, in un momento in cui pensavo che non l’avrei mai più ascoltata, in un momento in cui immaginavo che non avrei mai più sentito parlare di te. Non basta continuare ad avere il tuo nome in timeline con i tuoi memini da boomer, non basta scorrerti nelle notifiche degli altri, che tanto non serve a niente bloccare sui social network se non blocchi anche gli amici degli amici degli amici. C’è sempre il fianco lasciato scoperto per lo stalking. È come una ricaduta di influenza dopo che ti sembra di aver passato la fase acuta della malattia, un peggioramento improvviso che ti blocca i muscoli e ti cristallizza la mente. La sindrome dell’arto fantasma che si ripropone a intervalli regolari, quando ormai ti sembra di essere guarito del tutto, con tutte le ferite rimarginate, arriva il dolore, una fitta insostenibile che ti fa accasciare a terra e ti consuma gli organi di senso. Non è mai finita, anche quando lo sembra definitivamente. Chiudi i portoni e le finestre e poi ti dimentichi delle crepe sottilissime che si formano vicino agli infissi e gli spifferi entrano lo stesso, il freddo cristallizza i ricordi. 
È la noia, questa fase di stallo da quarantena perpetua, che mi fa stare con me, me medesima e me stessa, a rimuginare, ancora e ancora sulle stesse cose, sugli stessi atti ripetuti, in una routine fatta di incertezza e paure. Vorrei solo scappare dalla stasi, da questo momento in cui sembrano tutti far qualcosa di buono con la propria vita e a me sembra di sprecare tempo, di non star combinando niente, di essere ancora ferma a mesi fa, ancora prigioniera di me stessa. Vorrei scappare, davvero lo vorrei, ma al momento posso solo tirare grossi respiri e pensare a sopravvivere. Ci saranno tempi migliori. La pioggia smetterà di abbattersi sull’asfalto, uscirà di nuovo il sole. 




venerdì 20 marzo 2020

Prometeo

Immobile come Prometeo
nel contatto con il fuoco salvifico
cosciente di quella inevitabile
occorrenza, appostata per un agguato
moltiplica il cieco terrore
perpetra la fine della storia
lamenta immani perdite
elargisce punizioni esemplari 
taglia la testa, senza ripensamenti
annichilito dalla furia
sancita dallo scoppio della passione
essenza della notte appena trascorsa
nega persino quel profumo
zavorra di ricordi gravosi
alimenta la feroce pena
tenera carne penetrata e incompresa
esala l'ultimo indegno sospiro.