venerdì 24 luglio 2015

#NESSUNASCUSA

A volte devi uscire dal tuo piccolo mondo annaspando e ritrovarti a riflettere su fatti che vanno oltre te, ma che in effetti riguardano anche te. Sono una ragazza di ventisei anni, e necessariamente devo fare i conti con un mondo ancora perversamente costituito da contraddizioni maschiliste e patriarcali, in cui un giudice, finisce per considerare irrilevante la denuncia di una ragazza di uno stupro di gruppo perché disinibita, libera, con una propria sessualità che non era repressa ma vissuta con la spensieratezza di chi sta bene nella propria pelle, e non ha bisogno di nascondersi dietro nessun falso perbenismo. Se leggete la sentenza di assoluzione in appello dei sei accusati per stupro di gruppo vi si accappona la pelle, con l’indomita declinazione della responsabilità sulla donna, che si era ubriaca ma consenziente, che non si è difesa abbastanza, che non si è lasciata prendere la mano da niente. Non voglio neanche commentare, perché d’altronde non ho gli strumenti per farlo, e altri hanno posto l’attenzione su ciò che è più raccapricciante quello che voglio fare è unire la mia voce al coro, prendere questo post e far risuonare lo sdegno che mi avvolge leggendo fatti che non dovrebbero far parte del nostro quotidiano.
Mi rifiuto di pensare che sia così facile mettere a tacere una ragazza, che ha vissuto un calvario fatto di scrutini minuziosi alla sua psiche, mentre gli accusati venivano strenuamente difesi dalle famiglie ben pensanti, incapaci di  riconoscere che i loro figli, cresciuti nel loro seno, erano colpevoli di un tale abominio. Che si differenzia che loro sono italiani, come se la loro nazionalità li proteggesse dall’accusa, come se il colore della loro pelle e il luogo in cui sono nati cancellassero la colpa, colpa di un reato, che ha distrutto la vita di tante donne, che sono state ingiustamente tacciate di essere “zoccole” perché hanno “invitato” l’uomo a mettere loro le mani addosso.
Io non lo so cosa a provato la ragazza di Firenze, né le tante altre prima e dopo di lei che hanno vissuto un tale orrore. Non lo so, e con un certo egoismo, spero di non provarlo mai, ma che si manchi in una tale misura di RISPETTO a una donna che è stata violentata mi riempie di raccapriccio. “Si è trattato di un raptus”, “era ubriaco”, “era malato”, “era geloso”, “lei si è messa una minigonna”, “lei aveva una scollatura pazzesca”, “lei ha ammiccato”, “lei ha accettato un drink”, “lei non ha ubbidito”. Lei, lui, accuse, recriminazioni, incertezze, luoghi comuni. È ora di finirsela, è ora che l’uomo che compie atti di violenza paghi le conseguenze dei suoi gesti, è ora che una donna  sia libera di girare con pantaloncini inguinali, trucco vistoso e tacchi alti senza la riprovevole accusa di essere “una facile”, “una che ci sta”. È ora che il “NO” di una donna, urlato o sussurrato in preda alla paura, sia accettato per quello che è, un “NO” ad un atto che se non consensuale è VIOLENZA.
Non possono esserci scuse ad un atto del genere, non possono cadere l’educazione, il rispetto, il sostegno ad una donna lesa nella propria intimità, qualsiasi sia il suo credo, la sua età, la sua personalità, il suo modo di fare, il suo modo di abbigliarsi.
Poi leggi una lettera del genere e ti rendi conto che lei, lei quella ragazza, è stata violentata due volte, e nessuno, nessuno, nessuno potrà restituirle quello che ha perso, quello di cui l’hanno privata: il suo diritto a dire no, il suo diritto di denunciare l’atto, il suo diritto a vedere giustizia fatta.
E allora mi sembra doveroso, in un qualche modo, far sentire il sostengo a chi come quella ragazza, si è vista privare di tutto. Mi sembra necessario far sentire la voce di chi crede che non esistono giustificazioni allo stupro, che chi viola una donna o uomo, che insomma chi fa violenza deve pagare, in un mondo in cui la giustizia funziona a dovere. E allora mi unisco alla foto petizione di Rete della Conoscenza contro ogni tipo di stereotipo e discriminazione, contro quelle dicerie e pregiudizi che condizionano la nostra società. Per un mondo migliore, perché non esiste #NESSUNA SCUSA. 


Al milionesimo selfie non riuscito ci ho rinunciato.
Sorry so che volevate vedere il mio faccione!

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