A volte devi uscire dal
tuo piccolo mondo annaspando e ritrovarti a riflettere su fatti che vanno oltre
te, ma che in effetti riguardano anche te. Sono una ragazza di ventisei anni, e
necessariamente devo fare i conti con un mondo ancora perversamente costituito
da contraddizioni maschiliste e patriarcali, in cui un giudice, finisce per
considerare irrilevante la denuncia di una ragazza di uno stupro di gruppo
perché disinibita, libera, con una propria sessualità che non era repressa ma
vissuta con la spensieratezza di chi sta bene nella propria pelle, e non ha
bisogno di nascondersi dietro nessun falso perbenismo. Se leggete
la sentenza di assoluzione in appello dei sei accusati per stupro di gruppo
vi si accappona la pelle, con l’indomita declinazione della responsabilità
sulla donna, che si era ubriaca ma consenziente, che non si è difesa
abbastanza, che non si è lasciata prendere la mano da niente. Non voglio
neanche commentare, perché d’altronde non ho gli strumenti per farlo, e altri
hanno posto l’attenzione su ciò che è più raccapricciante quello che voglio
fare è unire la mia voce al coro, prendere questo post e far risuonare lo
sdegno che mi avvolge leggendo fatti che non dovrebbero far parte del nostro
quotidiano.
Mi rifiuto di pensare
che sia così facile mettere a tacere una ragazza, che ha vissuto un calvario
fatto di scrutini minuziosi alla sua psiche, mentre gli accusati venivano
strenuamente difesi dalle famiglie ben pensanti, incapaci di riconoscere che i loro figli, cresciuti nel loro
seno, erano colpevoli di un tale abominio. Che si differenzia che loro sono
italiani, come se la loro nazionalità li proteggesse dall’accusa, come se il
colore della loro pelle e il luogo in cui sono nati cancellassero la colpa,
colpa di un reato, che ha distrutto la vita di tante donne, che sono state
ingiustamente tacciate di essere “zoccole” perché hanno “invitato” l’uomo a
mettere loro le mani addosso.
Io non lo so cosa a
provato la ragazza di Firenze, né le tante altre prima e dopo di lei che hanno
vissuto un tale orrore. Non lo so, e con un certo egoismo, spero di non
provarlo mai, ma che si manchi in una tale misura di RISPETTO a una donna che è
stata violentata mi riempie di raccapriccio. “Si è trattato di un raptus”, “era
ubriaco”, “era malato”, “era geloso”, “lei si è messa una minigonna”, “lei
aveva una scollatura pazzesca”, “lei ha ammiccato”, “lei ha accettato un
drink”, “lei non ha ubbidito”. Lei, lui, accuse, recriminazioni, incertezze,
luoghi comuni. È ora di finirsela, è ora che l’uomo che compie atti di violenza
paghi le conseguenze dei suoi gesti, è ora che una donna sia libera di girare con pantaloncini
inguinali, trucco vistoso e tacchi alti senza la riprovevole accusa di essere
“una facile”, “una che ci sta”. È ora che il “NO” di una donna, urlato o
sussurrato in preda alla paura, sia accettato per quello che è, un “NO” ad un
atto che se non consensuale è VIOLENZA.
Non possono esserci
scuse ad un atto del genere, non possono cadere l’educazione, il rispetto, il
sostegno ad una donna lesa nella propria intimità, qualsiasi sia il suo credo,
la sua età, la sua personalità, il suo modo di fare, il suo modo di
abbigliarsi.
Poi leggi una
lettera del genere e ti rendi conto che lei, lei quella ragazza, è stata
violentata due volte, e nessuno, nessuno, nessuno potrà restituirle quello che
ha perso, quello di cui l’hanno privata: il suo diritto a dire no, il suo
diritto di denunciare l’atto, il suo diritto a vedere giustizia fatta.
E allora mi sembra
doveroso, in un qualche modo, far sentire il sostengo a chi come quella
ragazza, si è vista privare di tutto. Mi sembra necessario far sentire la voce
di chi crede che non esistono giustificazioni allo stupro, che chi viola una
donna o uomo, che insomma chi fa violenza deve pagare, in un mondo in cui la
giustizia funziona a dovere. E allora mi unisco alla foto
petizione di Rete della
Conoscenza contro ogni tipo di stereotipo e discriminazione, contro quelle
dicerie e pregiudizi che condizionano la nostra società. Per un mondo migliore,
perché non esiste #NESSUNA SCUSA.
Al milionesimo selfie non riuscito ci ho rinunciato. Sorry so che volevate vedere il mio faccione! |
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