lunedì 27 giugno 2016

Gli occhi fissi all’orizzonte, in attesa

Credere di non poter commettere passi falsi, perdersi nella quotidianità di azioni ripetute, gesti che si ripercuotono sempre uguali a se stessi nel mondo che si aggiusta al dominio che cambia. La paura genera paura, insieme a quella incertezza ripetuta e mai corretta della mia quotidianità intransigente.
Attesa ancora di notizie, informazioni, generale senso di vuoto che si trascina inaffidabile ancora e sempre. Sono stanca di aspettare, vorrei agire di fronte allo spazio che si ristringe intorno al mio corpo scosso dalla spossatezza. Eppure è vero che ci si abitua a tutto, anche all’instabilità di punti di riferimento che si affossano. Si accascia anche il senso di perdita che si trascina nel baratro. La paura mangia il colosso che campeggia nel mio campo visivo, in quella consapevolezza da fin de siecle che cerca di conservare lo status quo e che invece ha perso e sta per cadere.
Sai quella sensazione di ansia che precede lo scoppio della tempesta, che puoi assaporare con la certezza che stia per arrivare qualcosa di terribile e ci provi a cacciarlo indietro, ci provi a respingere quella sensazione ma non te ne liberi, ti consuma le ossa fino a lasciare polvere. E quando davvero scoppia la tempesta, sei troppo debole per metterti in salvo, troppo consumato per salvarti. E finisci per perdere anche più di quello che avresti perso altrimenti.
Il tempo si ferma improvvisamente, gestito da un’entità che sfugge al controllo di ogni sensazionale momento che mi perseguita, genera solo un eco nella memoria. C’è una via di uscita. Spero che ci sia il modo per sfuggire a quella sensazione di perdita che sembra soffocare il cuore e il respiro. Sembra quasi di perdere i sensi, sembra quasi di non avere sufficiente capacità di sfuggire. Il respiro mozzato e attendo. Attendo.




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