lunedì 24 settembre 2018

Ti odio

Ti ho aspettato, con il mio bagaglio di dolore e incertezza. Ho fissato in silenzio la tua schiena allontanarsi nella sua direzione, con quella faccia da schiaffi, il sorriso impertinente, le battute sempre pronte. Ti ho osservato trasformarti in un altro, in uno con cui non ho niente da spartire, che continuo a scrutare da lontano con la speranza di ritrovarlo tra le pieghe della sua nuova esistenza. E poi improvvisamente te ne esci fuori con quegli sprazzi in cui sei sempre tu, con la spettacolarizzazione di ogni gesto, con la battuta sempre pronta, i sorrisi da sciogliere il cuore. Mi togli il respiro quando con la tua camminata dolente ti siedi accanto a me, quando mi batti il cinque e pretendi la mia opinione, quando fai di tutto per farti notare da me. E poi, quando alziamo la testa nello stesso momento e ci sorridiamo, quando vorrei urlarti contro, ma riesco solo ad abbozzare. 
La verità è che ti odio, ti odio, ti odio. Perché mi fai sentire sempre totalmente inadeguata, perché hai la capacità di disarmarmi, perché in fondo sei un manipolatore e sai dove far leva. 
E in definitiva mi ritrovo sempre ad assorbire la rabbia, la sfiducia, quel senso bruciante di delusione che mi dilania le viscere ogni volta che il mio sguardo cade su di te e mi rendo conto che è troppo tardi, ho pensato di nuovo a te. 

Ti odio.
Ti odio.
Ti odio.
Ti odio. 
Ti odio.





sabato 1 settembre 2018

Incroci

“Da quanto tempo? Settimane. Mesi. Forse qualcosa di più.”
Glitch - Mirya


Mi sono fermata a questo incrocio, a respirare i passi di un passato che credevo sopito per sempre. Ho raccolto altre lacrime, di quelle che scuotono le membra fino a renderle irriconoscibili. Sono inciampata negli stessi pensieri persi tra meandri oscuri e incerti. E sono arrivata a distendermi sotto coltri troppo pesanti da sostenere. E qui giaccio, con il freddo che penetra tessuti sofferenti, cercando di ricreare una realtà differente, disciolta e flebile. Ricucirla però sfugge alle logiche. 
E mi chiedo perché, perché ancora penso a quello che non ho mai avuto. Invece di rimboccarmi le mani per ottenerlo vago tra rimpianti disperati e deboli, gesti che sembravano per me e non lo so. Ho aspettato un abbraccio per ore, un saluto che fosse qualcosa di più, e invece niente, sono rimasta lì a fissare il vuoto come una cretina. È arrivato il momento di ammettere di aver perso e levare le tende. Non è neanche più questione di mancanza, ma di consapevolezza di star meglio senza.
Ti ho sempre fissato incantata mentre spiegavi e gesticolavi. Dibattere su quello che stiamo facendo, il tuo sguardo attento, il tuo valutare seriamente le mie opinioni continua a spezzarmi il cuore. Andarsene, l'unica soluzione. Ogni memoria mi perseguita, i tagli netti che mi sono sempre piaciuti non funzionano con te. Forse perché la mia mente oziosa torna puntualmente a te. Anche di fronte al mare, penso sempre a te. Non so perché, ma il tuo pensiero mi colpisce con la forza di una pugnalata. E non so davvero come sfuggirne se non davvero abbandonando tutto. Ne vale la pena? Vale la pena rinunciare a tutto, anche alla carriera per te? Ne vale la pena? Non ho già perso abbastanza? 
Non ho già perso abbastanza?
Sono convinta, però, che possiamo superare qualsiasi cosa, anche i passi che abbiamo troppa paura di compiere.
Intanto questa è proprio la serata per un bel piantino. 





domenica 17 giugno 2018

Non ritorneremo mai

"È come se prepari una torta, e poi non la inforni. Anzi la cuoci ma non ci metti lo zucchero a velo sopra". 
Si gira, mi sorride e fa "O come se non mettessi il rhum nel tiramisù".



Bisogna fare i conti con quello che si semina, bisogna prendere coscienza che non si può scappare dalle conseguenze, non in eterno, non per sempre. Ed è questo che mi lascia schiacciata dal peso dell’angoscia, dal peso incomprensibile di ciò che ho costruito fino ad ora e che sta crollando inesorabilmente intorno. E allora si non ho valutato bene i rischi, non mi sono data abbastanza da fare, non sono riuscita a capire dove andare, cosa afferrare, cosa salvare. E alla fine ho perso. Comprese le scarpe e in qualche modo la dignità. Chi se ne è accorto? Forse nessuno, forse tutti, ma mi rendo conto che non è così facile sopportare la perdita. Perché allo stesso tempo ho ancora quegli spasmi convulsi che derivano da una storia non chiusa, anzi da una mai iniziata e che perciò si porta dietro le fantasie convulse del possibile. E quello che mi manca davvero tanto è parlare con te. Parlare davvero, quelle lunghe chiacchierate che facevamo insieme. Conoscere i tuoi pensieri, sapere le tue mosse, condividere le giornate, in maniera totale. Ma ormai non è più possibile, ormai questo giace nel dimenticatoio di giornate riposte sotto il tappeto, insieme alla polvere. È vedere i tuoi progressi stentati in una vita che non mi appartiene che mi manda in confusione. È ascoltare i tuoi “brava” con la mente che esulta e il cuore che piange, che mi scaraventa nell’angoscia. È quando non mi rispondi perché sei troppo impressionato da quanto la mia sia una buona idea, e te la rigiri in mente, per vedere se è davvero buona come sembra, e lo è e agisci di conseguenza, che mi manda in bestia. Perché per quei cinque secondi mi sento importante e non dovrei, non dovrei. 
Dopo è sempre peggio: perché prima non ci credi, durante non ci vuoi credere e dopo devi abituarti a crederci. Ed è per questo che sono una ferrea sostenitrice dei tagli netti, quegli strappi intransigenti dei cerotti, necessari anche se dolorosi. Che poi non servono a niente, perché ti ritrovi lo stesso a fantasticare sulla possibilità di un mondo impossibile che brucia nella nebbia.








lunedì 5 febbraio 2018

Awkward heart

Ci si perde, facilmente, e la paura mi dilania. Di nuovo, come sempre, bloccata in un limbo disperata. Dopo una settimana da sogno in una delle mie città preferite, quella romantica Praga che nasconde innumerevoli segreti, mi ritrovo ancora una volta dilaniata da sentimenti contrastanti. Da un lato la normalità di ambire ad una persona che non avrò mai, perché ehi sta con un altra, e nonostante sorrisi e occhiate infuocate, che a questo punto immagino solo io, dall’altro l’entusiasmo per un uomo appena incontrato e che probabilmente non sentirò e non vedrò mai più. E in definitiva ancora e sempre limbo. 
E poi, e poi c’è quel senso di inadeguatezza che non mi abbandona mai. Il rimpianto di non aver fatto una telefonata quando serviva e la consapevolezza di una perdita, il lutto mal digerito per una donna che era come una nonna, anche con tutti i difetti di una vecchiaia solitaria e inimmaginabile. Al supermercato ho visto lo zucchero a velo che usava lei, che una volta mi aveva mandato a comprare alla coop per fare l’unica torta che le riusciva bene, e sono scoppiata in lacrime alla cassa. Basta talmente poco per destabilizzarci, basta un niente per cadere in un mondo di improvvisa irrealtà. Il 16 gennaio sembra così lontano eppure è così vicino.