sabato 23 maggio 2015

Di grasso e altri problemi

Io a Bruxelles fuori una pasticceria, con dei cioccolatini,
la mia borsetta Carpisa preferita XD


Ok non pensavo minimamente di aggiornare questo blog così spesso, ma diciamocelo, ci ho preso gusto, perché adoro ciarlare e visto che mi piace ascoltare il tono della mia voce, mi ritrovo a scrivere più spesso di quello che pensavo.
Mi ricollego direttamente alla recensione che ho postato oggi di Fat Girl Walking di Brittany Gibbons, e che mi ha vista direttamente protagonista. Ho deciso di leggere “Fat Girl Walking” per due motivi: il primo è che mi hanno invitato a partecipare a questo tour direttamente i pubblicisti di HarperCollins con cui collaboro assiduamente da più di un anno e io adoro questa casa editrice. Il secondo è che questo libro tratta tematiche a me molto care, perché anche io sono sempre stata la “fat girl” della mia classe sia alle medie che al liceo e gli anni delle scuole medie sono stati i più traumatici della mia vita. Mi sono identificata così tanto con Brittany Gibbons durante la lettura che sono andata a vedere il suo blog, che non conoscevo e ho apprezzato tantissimo quello che fa. E insomma è un ottimo esempio per il progetto de #LePrincipesseSiSalvanoDaSole. Insomma un libro che parla di donne e problemi veri delle donne. 
Non è facile parlare di sovrappeso. Questo perché il sovrappeso racchiude in sé molti altri problemi. La vergogna e lo stigma di essere la persona più grossa della tua classe, del tuo posto di lavoro, della tua università, della tua famiglia, evolve sempre in scarsa autostima e paranoia. Ho vissuto e vivo gli stessi dubbi di Brittany, che vive i complessi meccanismi di ansia e imbarazzo che avvolgono l’esistenza di una persona che si sente fuori posto in qualsiasi situazione. Eppure quella sensazione di mero imbarazzo, l’awkwardness che caratterizza ogni passo di una persona che si confronta con un mondo il cui standard è una modella taglia 40, spesso sottopeso, prima o poi scompare. Perché quando ci si accetta per quello che si è, pregi e difetti, le cose migliorano, si stazionano, ci si rende conto che è possibile essere sereni nella propria pelle. È vero che se al proprio fianco non si hanno dei modelli in grado di aiutare non solo ad accettarsi ma a vivere bene, è molto più complicato crescere in maniera sana. Ma il bullismo, le prese in giro, la discriminazione, che viene anche dall’essere scelti sempre per ultimi negli sport di squadra (true story) alimenta un mostro, che vive dentro di sé e che prima o poi scoppia. Certi episodi sono drammatici, soprattutto nella mente di chi non riesce ad accettarsi. Quando ero alle medie uno degli insulti ricorrenti che ricevevo era "Balena", ma anche il classico "Palla di Lardo" non mancava. Io ho sempre avuto i libri in cui rifugiarmi, avevo un gruppo di amici che più o meno mi accettava, a discapito del mio peso corporeo, eppure ho sempre vissuto il confronto con gli altri in maniera negativa. Andare nei negozi e non trovare la taglia del vestito che vuoi è sempre un duro colpo per la tua autostima. 
È un circolo vizioso, soprattutto per chi usa il cibo come arma e come difesa, quella fame nervosa, quel ricorrere al cibo per stare meglio, per sedare il dolore che attanaglia le viscere. E' sempre stato il mio sistema di default. Stavo male? Vai di dolcetto. Qualcuno mi prendeva in giro? Mangiare era la soluzione. 

Al momento sto bene, sono serena, so che non sarò mai una taglia 40, ma non mi sembra che sia questo l'obiettivo di una vita. Quando si cresce, si elimina un po' quella sensazione di essere fuori del gruppo, che mi sono portata dietro, e la sostanza non è più l'esteriorità. Quello che conta sono i propri sentimenti, quello che si costruisce in sé, quel mero disincanto che viene dallo scoprire che il mondo non è il liceo e la comunità in cui si è cresciuti, ma è davvero una distesa sterminata di strade e volontà. Si capisce anche che in fondo l'opinione degli altri non conta nulla, che ciò che conta è solo la propria opinione. E non si è mai soli. Ci sono altre persone che lottano con gli stessi problemi, che hanno la stessa tristezza cronica e la stessa perturbazione dii fronte agli insulti e la prepotenza degli altri. Credo che il dialogo sia fondamentale, che riconoscersi, sia importante. Non bisogna nascondersi dietro trucchi, suggestioni o paure. Ognuno è perfetto, a modo suo. 


Io ad Anversa, in tutto il mio splendore
da chubby girl!


venerdì 22 maggio 2015

La pioggia no...

Questa è crudeltà contro chi, come me è una lucertola. Dove è finito il sole di maggio? Dove quel clima mite, temperato, e assolutamente godibile che prelude a simpatiche scampagnate all’aria aperta? Voglio il caldo e il mare, perché inevitabilmente da perfetta freddolosa preferisco scaldarmi su una spiaggia che congelare sulla neve. La pioggia scende inesorabile, un temporale con i fiocchi, che sembra promettere distruzione. Un po’ quello scenario da apocalisse, un po’ quell’inevitabile clamore da lampi, tuoni, fulmini e saette, uno Zeus furioso che non perdona. Sopporto tutto tranne che la pioggia, la pioggia no, ti prego, piuttosto qualsiasi altra cosa. Ma la pioggia no.

mercoledì 20 maggio 2015

Di compleanni e altre amenità




Sono una che procrastina, che rimanda, che afferma con convinzione “c’è tempo anche domani”, che dilata il tempo, che si riduce all’ultimo momento, che proroga, che dilaziona, che rinvia, che differisce, che non prende mai una decisione subito, che ha bisogno di tempo, che non crede nella fretta, che si abbandona a immagini mentali che le sembrano più tangibili della realtà.
Sono la classica persona che si perde nei suoi pensieri, che non è mai contenta di come stanno le cose, che vuole di più, che cerca una scorciatoia, che è stufa marcia di dannarsi l’anima per ottenere risultati mediocri e poco soddisfacenti.
Sono il tipo che si perde nei ricordi, che sguazza nella malinconia, che vive di nostalgia, che si frantuma il cuore dietro speranze vane e irrealizzabili, che crede nel senso delle parole, che si fa mille paranoie, che analizza a sfinimento un sorriso e uno sguardo, che alla fine non agisce.
Sono indolente e poco comunicativa, mi perdo, parlo di argomenti superficiali, che restano ancorati solo dietro al mio sorriso, quello che regalo al mondo, perché è più facile sorridere che rivelare il muro di mattoni dietro l’intonaco immacolato.
Il mio senso del dovere frantuma la spontaneità di gesti irrequieti, mi chiudo dietro catene argentee che frenano il mio entusiasmo, sono spinta da moti istantanei e inconsistenti che decadono nell’arco di un nanosecondo.
Sono ferma, vittima di un’evoluzione statica che si perde nei meandri di un tempo imperfetto e inconsistente.
Avete presente la sensazione di riaprire il vostro libro preferito, leggere le righe che conoscete a memoria, seguire le pagine con il guizzo della prima volta, ma in fondo il retrogusto di sapere a cosa andate incontro. Non c’è modo di sfuggire alla morsa di quello che sta per succedere eppure, siete costretti a riviverlo, a riassaporarlo, a sentire le stesse emozioni e gli stessi aghi pungere. La mia vita è così, un vuoto a perdere, un tornare di nuovo a rivivere gli stessi episodi scialbi e a perdermi nelle stesse vicende, senza averci davvero mai capito nulla.
E allora mi struggo nei ricordi.
Un anno fa ero a Bruxelles, alla Université Libre, a maledire il progettista della protesi che avrei dovuto usare per le mie simulazioni. Era il primo compleanno del nostro gruppo e divenne la norma, festeggiare da noi. La sera prima avevo preparato, a mezzanotte, una torta, una crostata di frutta. Nella mia inesperienza di cuoca sgangherata non mi ero resa conto che la frolla cresce, si gonfia al centro e dopo un errore strutturale ero pronta a ricominciare da capo. Ma il mio coinquilino, M., mi suggerì di rivoltarla e usarla lo stesso “che tanto del buco al centro non si accorge nessuno”. E in effetti, quando la portai in laboratorio, tutti ne restarono fulminati. Persino il prof, che la trangugiò come non mai. La sera dopo vari tentennamenti organizzammo una cena nel nostro appartamento. Avrei dovuto prepararla da sola, ma lo stronzo della situazione, perché diciamocelo, c’è sempre, si offrì di aiutarmi. La spesa insieme, la musica del suo telefono, accontentandomi con i Coldplay “che li adoro” e piccole attenzioni e sguardi complici. Il sugo come lo fa lui non lo fa nessuno, la crema al cioccolato perché “ci vuole un altro dolce” e la birra. Una serata meravigliosa…  con le foto, perse, perché il mio HD si è bruciato e ancora non sono riuscita ad andare a ripararlo.
Quest’anno sono a casa, ma la tristezza mi avvince, e anche se non so ancora cosa farò, di certo mi struggerò per l’anno scorso.
Buon compleanno a me!

martedì 19 maggio 2015

Atto #1: Introduzione

Avevo bisogno di uno spazio dove ciarlare di tutto o niente, dove scrivere di altro, che non fossero libri. Please Another Book è la mia vita, il mio pensiero fisso nel corso della giornata, ma in fondo ho mille altri interessi, interessi che finiscono sempre in secondo piano. Questo vuole essere un po’ come quei contenitori vuota tasche che si posizionano all’ingresso, vicino alla porta, e dove si accumulano oggetti tenuti in giro per tutta la giornata.

I contenuti saranno vari, con cadenza  casuale, una specie di diario di bordo da personalizzare man mano che il tempo passa. Non so ancora cosa ne farò, ma ecco questo è il primo passo.