giovedì 25 febbraio 2016

Life sucks

Sono a Milano, in questa stanza dai contorni troppo grandi e troppo vuota in un seminterrato in una zona che mica l’ho capito se è tranquilla o no. La casa, un ricettacolo di personalità differenti, provenienze diverse e attitudini completamente agli antipodi, raccoglie vagabondi e pazzi che cercano un posto economico. E dire che l’ho trovata su Airbnb. Il mio mantra è “ci devo rimanere solo due settimane, e sono già quasi passate”. Ce la posso fare, o almeno continuo a ripetermelo, sono certa che prima o poi ci crederò anche io.
Milano, che ho visto solo attraversando la metro da est a ovest e da sud a ovest, è grigia come dicono, inquietante e pervasa dallo smog che ti stringe la gola, ti brucia i polmoni e non ti permette di respirare. Ed è vero che Milano è sempre associata al Duomo ma nelle mie piccole esplorazioni mi ha permesso di vedere anche altre cose. Per esempio il castello e il parco che lo circonda e quel misto di strade piene di negozi e i Navigli, quartieri residenziali e zone che sfiorano il degrado urbano. Milano piena di contraddizioni e quelle situazioni da fighetti, che è tutta da bere. Che una Corona 10 euro, perché avevano finito la Tennent’s (e col cavolo i cocktail fruttati che sono super zuccherosi) all’aperitivo solo qui eh!

Ma dov’è che dovevo andare? Ah si, Firenze, beh cancellato, lunedì ci hanno comunicato che a me e a un mio collega ci mandano a Torino per due mesi, che c’è un super progetto importante e servono risorse e non vi preoccupate che vi paghiamo tutto noi. Tra problemi che si risolvono (che mica l’avevo trovata casa a Firenze) e altri che arrivano, sembra tutto un movimento di forze positive e negative. Con l’influenza che ancora mi è rimasta attaccata addosso, e le notizie catastrofiche che non smettono di arrivarmi addosso, ho solo voglia di chiudermi in un guscio e non sentire più niente. E sono qui, lontana chilometri e anche se vorrei partire e raggiungere la mia famiglia che si sta raccogliendo tutta intorno a mia nonna, sono qui in questa Milano grigia e solitaria. Anche se vorrei prendere il treno, mia Madre mi ha detto di aspettare, di non farlo, di non muovermi, di guarire, di aspettare. E so già che arriverò troppo tardi, che avrò perso l’occasione per salutare mia nonna, che quando mi dirà qualcosa sarà troppo, incredibilmente tardi. Queste cazzo di situazioni in bilico, con una scarpa in una valigia buttata ai piedi del letto e la sensazione di perdere tempo, di non vedere la fine, di non esserci. E mentre aspetto una lavatrice che concluda il suo ciclo di lavaggio, con la testa pesante e la tosse che riecheggia mi rendo conto che la vita fa schifo, sempre di più. 



venerdì 5 febbraio 2016

AAA Cercasi casa a…

Pensavo che sarebbe stato tutto incredibilmente facile e invece sembra esserci un imprevisto ad ogni piè sospinto. Quando mi hanno detto “Si ok, sei dentro, ti prendiamo” immaginavo che tutto si sarebbe incastrato a meraviglia, con la certezza che poi si yeah vado a Firenze, Firenze è figa, mi troverò bene. E invece no, no cavolo, devo andare due settimane a Milano e trovare un appoggio è quanto di più complicato ci sia. Ma insomma, insomma, sta per iniziare una nuova avventura. Finalmente sarò una donna *coffcoff* in carriera *coffcoff*. Eppure non sono serena, anche se la realizzazione professionale, ben lontana e dal mio corso di studi, e dalle mie inclinazioni originali, sembra sempre più vicina, pure vivo costellata da mille dubbi amletici, dalla consapevolezza che no, no, non sarò all’altezza. E questa è la mia condizione quotidiana, perché i dubbi non riesco a decapitarli, restano lì. Una coda di lucertola che sembra vivere di vita propria e continua a perseguitarmi.



Sono a casa da qualche giorno e già mi manca la mia indipendenza, la routine che avevo creato ad Ariano, quel misto di fatica e costernazione che dilagava e si contorceva. Quel miscuglio di noia per la neve, entusiasmo per ogni iniziativa, sottolineato costantemente da “Righe”, cristallizzato in una pessima esibizione a cappella di “Come deve andare” degli 883 e generata dall’inquietudini generazionali di altri trenta giovani come me.
Speriamo che vada tutto bene…




Tutto va come deve andare
O perlomeno così dicono
Tutto va come deve andare
O perlomeno me lo auguro