giovedì 31 marzo 2016

Attimi che si sommano, attimi che si sottraggono

Gli effetti invisibili che non riesco a comprendere sono quella somma di azioni volontarie o involontarie che mi hanno portato fino a qui. Un percorso tutto in salita, con traguardi faticosamente raggiunti vetta dopo vetta, con quegli scarponi che lasciano vesciche, il bastone a cui sorreggerti che piaga le mani, la convoluzione di sofferenza e sacrificio che non smette mai di pungolare. Attimi, che si sommano, che si sottraggono che si catapultano nell’imperfezione di incongruenze esplicite.
Da piccola sognavo di fare l’archeologa (ero super fissata con gli Antichi Egizi), l’astronoma (per uno dei miei compleanni, mi pare in seconda media, mi sono fatta regalare un telescopio, ce l’ho ancora inscatolato nel mio armadio e ogni tanto vorrei aprirlo, ma non ho spazio, e ora sono lontana da casa), la biologa marina (mi ero fissata con i delfini in maniera mooolto preoccupante) e per finire la critica letteraria (che i libri mi sono sempre stati accanto in ogni momento della mia vita). Eppure al momento fatidico della scelta universitaria, al colmo della confusione, divisa tra una fisica pura (e poi che diamine ci fai nella vita?) e una scienze del turismo dettata anche dal mio impegno con il comune del mio paese, me ne sono uscita con Ingegneria Biomedica. Avevo visto un servizio al tg su un occhio bionico impiantato con successo(che scopro oramai impiantato anche all’ospedale di Carreggi qui a Firenze, poi dici i casi della vita) e mi ero talmente gasata che mi sono detta “no voglio fare anche io cose del genere... come posso fare?”. Poi visto che c’era alla Politecnica delle Marche, è stato un attimo decidere, che si, quello sarebbe stato il mio destino.
Non avrei mai, mai, mai immaginato che sarebbe stato così difficile, mai avrei immaginato prima di iniziare le difficoltà a cui sono andata incontro, che ho dovuto superare, i rospi da ingoiare, l’ambiente, ancora di un maschilismo dirompente, popolato da uomini, con cui rivaleggiare, a cui dimostrare che si, hai le loro stesse capacità, se non di più. Le nottate di studio, i progetti, gli esami, le lezioni, l’essere pendolare, le amicizie, i gruppi di studio. Ricordi indelebili, ma che pesano.  E poi... e poi alla fine eccomi a fare la consulente informatica, che non c’entra niente con l’ingegneria biomedica. Che si ci sguazzavo tra le protesi e avrei pure voluto continuare a lavorarci (continuare magari anche con la mia tesi, che avere una protesi di ginocchio per le mani, compresa la sua stampa 3D, averne progettato, disegnato e studiato con la FEM) pure è finita diversamente. Sono cambiata tanto in un anno e sono anche professionalmente cresciuta molto, ho acquisito competenze che non mi sarei mai sognata.
E sono qui, a Firenze, ad occuparmi di database. Non si sa mai dove si va a finire finché non ci si arriva. 




lunedì 21 marzo 2016

Lotta intestina

Oggi è la giornata mondiale della poesia, salutando Alda Merini, io la festeggio con questa


Abiti strappati
atti inconsulti
grida rauche contro il cielo
sedicenti profumi intrappolati
ansiti convogliati da membra spente
mani intrecciate
braccia tremanti
spasmi inconsulti
brevi atti di clamore
ignara consapevolezza di beltà
progredire o arretrare
muoversi o abbandonarsi
lotta intestina di una notte. 

domenica 20 marzo 2016

I am not alone

A volte mi prosciugo nella sensazione di non esserci, di aver dimenticato davvero cosa significa star soli, spersi in un posto in cui neanche posso essere davvero me stessa, perché sono costretta a sottostare alle regole di un’altra persona, nella casa di un’estranea in cui non posso neanche utilizzare il mio bagnoschiuma preferito. E seppur so che è solo per un periodo, che devo stringere i denti, beh non ce la faccio. La soffro questa solitudine cristallizzata in momenti di inconsistenza, la soffro terribilmente. E ringrazio immensamente il telefono, il cellulare che è il prolungamento della mia mano perché mi sta salvando in momenti che davvero non avrei creduto.
E poi ho l’ansia a due miliardi, passo da stati di esaltazione ad altri di ansia liquida ad altri di paura, con il panico che mi coglie alle spalle e la sensazione di soffocare. Il mio lavoro mi sta entusiasmando. Perché per fortuna il mio supervisor è una bravissima persona che mi stimola a dare il meglio, con la spensieratezza e la giocosità tipica dei fiorentini, e l’aria di chi non ti guarda passivamente scivolare davanti ai suoi occhi. Ci metto il massimo, iniziando ad abituare la mia mente ad essere una dipendente di una multinazionale americana che si occupa di Post-Sales Services. Ed è qui che tutto si complica, che nonostante tutto non sono pronta per diventare adulta, per assumermi le responsabilità che un lavoro così serio comporta. Ho paura di toppare ad ogni cosa, e mantengo sempre un atteggiamento non committante, soprattutto per quanto riguarda cose che non so. E ripenso con una certa nostalgia ai tre mesi trascorsi ad Ariano Irpino, a quel mondo che mi ha formato e mi ha anche in qualche modo protetto, che in un certo senso mi ha spinta ad andare avanti. E sono qui, cercando di fare del mio meglio anche quando mi reputo una mezza calzetta.
E poi ho letto il discorso a TED di Reshma Saujani, CEO e fondatrice di Girls who code in cui parla proprio della mancanza di coraggio e sicurezza che affligge le donne quando si confrontano con un lavoro, come quello del programmatore informatico che ha bisogno di inventiva, di tentativi, di imperfezione e mi sono ritrovata a pensare di quanto io stessa mi freni nei confronti di una situazione che dovrebbe essere semplice.

“Programmare è un continuo processo fatto di prove ed errori, di tentativi di inserire la giusta linea di codice al giusto posto, dove spesso una parentesi in più o in meno segna la differenza tra successo e fallimento. Il codice si rompe e si sgretola, e spesso servono molti, moltissimi tentativi prima che arrivi il momento magico in cui ciò che stavi cercando di fare prende vita. Programmare richiede perseveranza. Richiede imperfezione.”

Ed è vero che siamo noi stesse a bloccarci, che non ci trinceriamo dietro l’incapacità di rischiare perché la paura del fallimento vince su tutto, si impossessa della nostra psiche paralizzandoci, evitando di buttarci nella mischia e finiamo così per perdere il treno che ci passa davanti. Sto cercando di buttarmi alle spalle i dubbi e le incertezze, ma è così maledettamente difficile superare la paura di fallire.
Spero di farcela, di non arrendermi, di superare le mie insicurezze croniche, perché realizzarmi professionalmente è ciò a cui aspiro di più.


Good coding.



martedì 8 marzo 2016

I am no man... buona festa della donna a me

Pensavo che non ci sarebbe stato posto per me o che comunque sarei rimasta a fissare il vetro fuori dalla stanza in cui mi trovo senza un vero scopo, con addosso la disarmante consapevolezza di non essere buona a nulla, che in qualche modo la mia presenza sarebbe stata solo ingombrante, una di quelle di cui liberarsi il più presto possibile. Sono arrivata e sono già stata risucchiata nel lavoro. Sono arrivata da un giorno e già ho presentato qualcosa di utile, sono qui da due giorni e già ho dato il mio contributo. E per un'insicura cronica come me, che si lascia abbattere da qualsiasi dubbio esistenziale sentirsi dire "che non possono portarti via, che ci servi" è qualcosa di talmente tanto importante, di talmente tanto impossibile che proprio non riesco a capacitarmene. No perché davvero io? Ma siete sicuri? No perché mi sa che avete ricevuto qualche colpo in testa. 
Ed oggi, in una giornata tale, in cui sono stata anche lodata con il capo del mio capo (il pezzone grosso con cui ho fatto il colloquio) non posso che gioirne. Che magari è solo per oggi, magari già domani farò qualche cavolata, ma per oggi me lo strappa un sorriso, giusto per oggi un pochino soddisfatta di me lo posso essere. E forse è solo oggi, ma forse lo sarà anche in futuro. Spero solo di essere all'altezza. Spero solo di non fare cazzate. Spero solo di non farmi mangiare dai dubbi. 



domenica 6 marzo 2016

Ansia... il mio secondo nome

It is the unknown we fear when we look upon death and darkness, nothing more.
Harry Potter and the Half-Blood Prince – J.K. Rowling


Sto imparando a vivere alla giornata, senza darmi troppa pena di quello che succederà. La vita è così complicata, piena di alti e bassi, troppe incertezze e bisogna avere il coraggio di non mollare, di essere lì sempre anche quando ci sembra inevitabile cadere, anche quando lasciar perdere tutto sembra l’unica mossa possibile. Mi sento come in una partita a scacchi, in stallo, senza la vera consapevolezza di dove andare, come salvarmi, come raggiungere una certa tranquillità interiore senza impazzire. Perché le cose sono cambiate di nuovo. Dopo una brevissima parentesi torinese, segnando il record di permanenza più breve in un progetto, sono a Firenze. Sono qui nella ridente Toscana, anche se sono stata accolta da una pioggia battente e l’Arno che ulula fuori della mia finestra. Sono qui in un’ennesima stanzetta, con il freddo che mi penetra nelle ossa e la sensazione di non essere all’altezza. Domani, domani inizio per l’ennesima volta in un nuovo ufficio, con gente sconosciuta, da sola, irreparabilmente sola, con la consapevolezza che no, sono un impostore, perché diamine mi hanno assunta? Ho l’ansia a duemila, non so cosa aspettarmi e aspetto di non svenire, di non perdermi. Sono terrorizzata all’idea di non essere in grado di farcela, di perdermi nei meandri di una situazione che non mi appartiene. Ho paura, sempre. E ho l’ansia che mi sta fagocitando le viscere. E anche se da un lato sono contenta di iniziare questa nuova esperienza, dall’altro non so davvero come farò a uscirne viva. Perché è complicato e per la prima volta dopo tanto tempo stare da sola e ricominciare da capo mi rende instabile.


Prima o poi ce la farò a smettere di scrivere post depressi. Forse.