lunedì 27 aprile 2020

La sindrome dell’arto fantasma

Per caso ho sentito la tua voce, in un momento in cui pensavo che non l’avrei mai più ascoltata, in un momento in cui immaginavo che non avrei mai più sentito parlare di te. Non basta continuare ad avere il tuo nome in timeline con i tuoi memini da boomer, non basta scorrerti nelle notifiche degli altri, che tanto non serve a niente bloccare sui social network se non blocchi anche gli amici degli amici degli amici. C’è sempre il fianco lasciato scoperto per lo stalking. È come una ricaduta di influenza dopo che ti sembra di aver passato la fase acuta della malattia, un peggioramento improvviso che ti blocca i muscoli e ti cristallizza la mente. La sindrome dell’arto fantasma che si ripropone a intervalli regolari, quando ormai ti sembra di essere guarito del tutto, con tutte le ferite rimarginate, arriva il dolore, una fitta insostenibile che ti fa accasciare a terra e ti consuma gli organi di senso. Non è mai finita, anche quando lo sembra definitivamente. Chiudi i portoni e le finestre e poi ti dimentichi delle crepe sottilissime che si formano vicino agli infissi e gli spifferi entrano lo stesso, il freddo cristallizza i ricordi. 
È la noia, questa fase di stallo da quarantena perpetua, che mi fa stare con me, me medesima e me stessa, a rimuginare, ancora e ancora sulle stesse cose, sugli stessi atti ripetuti, in una routine fatta di incertezza e paure. Vorrei solo scappare dalla stasi, da questo momento in cui sembrano tutti far qualcosa di buono con la propria vita e a me sembra di sprecare tempo, di non star combinando niente, di essere ancora ferma a mesi fa, ancora prigioniera di me stessa. Vorrei scappare, davvero lo vorrei, ma al momento posso solo tirare grossi respiri e pensare a sopravvivere. Ci saranno tempi migliori. La pioggia smetterà di abbattersi sull’asfalto, uscirà di nuovo il sole.