venerdì 3 maggio 2019

Concedersi di dire no, anche contro il mondo

È una di quelle serate fredde, con il gelo che ti penetra nelle ossa e in cui ti assale la voglia disperata di abbracciare la stufa. È una di quelle serate in cui è impossibile non fermarsi a riflettere mentre il bollitore porta l’acqua alla temperatura giusta per una tisana. Il mondo sta andando a scatafascio, sempre di più mi rendo conto di quanto siamo diventati indifferenti di fronte alle tragedie che ci succedono a pochi passi. Ma soprattutto non ci rendiamo bene conto che siamo noi ad alimentare un modello sempre più antiquato e malato. Sono giorni che rifletto sulla società in cui vivo, che sento stretta e angusta, sia per atteggiamenti che per convinzioni. È difficile fare la differenza, me ne rendo conto, soprattutto quando non si hanno idee per far leva sui problemi e iniziare quindi a risolverli davvero. Però a volte neanche li riconosciamo i problemi, siamo fermi e paurosi anche solo di sollevare la testa e iniziare a parlare. Chi mi conosce da un po’ lo sa, che appena percepisco un discorso che mette in rilievo un atteggiamento di un certo tipo lo faccio notare, guadagnandomi il biasimo di chi neanche li vuole ascoltare certi argomenti. “La cucina è il regno di mia moglie, neanche mi azzardo a cucinare” una delle frasi che ho ascoltato recentemente e che mi hanno fatto salire il sangue al cervello. Magari a tua moglie piace anche cucinare, ma se la aiuti, anche solo a preparare gli ingredienti vedi che le fai un regalo. “Avete visto che di sette posizioni dirigenziali appena annunciate, solo una è stata affidata ad una donna?” il mio commento ha fatto un buco nell’acqua, come se il completo predominio maschile, in un mondo come quello dell’IT fosse normale, e non ci si deve stupire della mancanza di figure femminili di rilievo in posizioni elevate della scala gerarchica. Ma non è solo questo, anzi. Quello che mi preoccupa di più in questi ultimi tempi è inesorabilmente la concezione che abbiamo dei rapporti di coppia, delle dinamiche affettive che leggiamo nei libri o in certe tipologie di storie che stanno ottenendo un certo successo tra i lettori. 
Ho sempre letto tanti libri che rientrano nel genere romance, sicuramente ora molto meno di un tempo, quando probabilmente era il principale genere che prendevo in mano, e per questo sono diventata molto esigente con le storie che inizio. Pretendo una certa dose di realismo, di batticuore e di serietà. E non sto parlando dell’utilizzo più o meno massivo di certi cliché ma dalla qualità dell’intreccio messo insieme per rendere interessante la storia d’amore oggetto di lettura. Ma dell’importanza di sottolineare l’importanza del rispetto verso l’altro sempre. Ma soprattutto dell’importanza di essere sempre pienamente consapevoli di quello che si sta facendo. Ciò che mi da davvero fastidio in certi tipi di libri è l’aggressività usata nei confronti di donne che se anche non vocalizzano il no, mostrano chiaramente segni di disagio. Ma soprattutto situazioni che sono al limite della violenza. Solo perché non viene urlato un no, non ci si divincola, non vuol dire che ci sia meno dolore, meno conseguenze, meno abuso. Un rapporto, soprattutto sessuale, dovrebbe nascere dal pieno rispetto e dalla ricerca del benessere reciproco. Se ci si allontana, se ci si mostra indisponibili, se la nostra priorità del momento è esternare lacrime o imbarazzo o disgusto, e l’altra persona per personalità o forza ci sovrasta e ci obbliga ad avere un rapporto sessuale, beh quella è una violenza, fisica e mentale. Una situazione del genere non descrive un rapporto consensuale. Soprattutto se uno dei due personaggi coinvolti è chiaramente in una posizione di potere fisico o di ruolo. Il filo sottile che passa per una condivisione tanto intima e profonda non deve nascere né dall’obbligo, né dalla paura, né dalla considerazione che se lo vuole l’altro allora va tutto bene. Non bisogna scendere a compromessi, sono convinta che ci debba essere sempre una via di uscita. Se prima ne avevi voglia e poi no, devi sentirti sicura di poterti tirare indietro e non finire l’incontro solo perché “va bene ormai l’ho iniziato”.  Bisogna riconoscere all’altra persona la possibilità di non essere disponibile. Che se a me fa ribrezzo una cosa e ti dico no, non va bene, non la facciamo lo stesso solo perché a te non disgusta. E il sesso finisce con te scivolata contro un muro, abbandonata su un tavolo o su un letto, con la testa che ti dice che non è stata una bella esperienza e non si riconosce il diritto di sentirsi male perché non hai detto no, non va tutto bene, non è stato un rapporto pienamente consensuale. Facciamo troppe cose perché sentiamo mille pressioni: dalla famiglia, dalla società e non dovremmo sentirci costrette mai, soprattutto nella condivisione del nostro spazio fisico. Ogni gesto che ci viola è un gesto che va denunciato e anche nelle storie d’amore che leggiamo dovrebbe essere sempre ben chiaro in mente che se non siamo serene siamo libere sempre di tirarci indietro. E soprattutto che chi è con noi e afferma di amarci deve proteggerci, sempre, anche da noi stesse, anche da loro stessi. Siamo tutti capaci di controllare i nostri istinti, capire quando la situazione è buona per condividere qualcosa di così importante e quando invece è necessario fare un passo indietro. E dobbiamo riconoscerlo e soprattutto denunciare comportamenti dannosi. La denuncia serve soprattutto per permettere di aprire gli occhi a chi da solo non ci riesce e a cercare di creare un mondo migliore. 
Un piccolo gesto, ma in fondo le rivoluzioni sono fatte di piccoli gesti. 

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