venerdì 8 dicembre 2017

Ed era già troppo tardi

Una mano che vaga sulla schiena.
Cosce che strusciano sotto il tavolo.
Dita che involontariamente si sfiorano.
Brividi che devi nascondere.
Fissare un avambraccio piegato sullo schienale della tua sedia, mentre il suo sguardo fissa lo schermo. 
Poi guardarsi un attimo, sorridersi, gli occhi che si cercano. 
E pensare inevitabilmente di scappare, perché salvarsi è l'unica cosa che conta.



Ho perso, è l'unica cosa che posso riconoscere in questo baratro che è la mia vita. Ho riconosciuto i sintomi, sapevo quanto avrebbe fatto male, e li ho ignorati, pensando che prima o poi se ne sarebbe andato da solo. Ma è impossibile, anche quando dovrebbe essere passato il periodo di incubazione, anche quando ti saresti dovuta essere liberata di quel maledetto virus, ecco che questo ricompare, ti morde le viscere, ti induce a mettere ordine, a calpestare i tuoi sentimenti.  E cosa resta da fare?
Otto dicembre, il freddo brucia le ossa, ingloba il dolore, spreca le possibilità e ti lascia a terra con la solitudine che ti sgretola il cuore. E cosa resta? Niente solo i filamenti di quello che credevi possibile, che pensavi, osavi, osavi sperare. 
È così una lenta agonia che si dirama da quelle occhiate rubate, da quei tocchi brevi ma incandescenti, da quei momenti in cui ci guardiamo negli occhi, ci fissiamo con una certa intensità in cui il tempo sembra sospeso, cristallizzato. Ogni giorno una pugnalata, una risata isterica che risuona ad un passo, i gesti dibattuti, l’intenzione soppressa, la voglia inghiottita, insieme all’istinto di allungare la mano. E quel tempo che si allontana, la sensazione di aver perso la propria sanità mentale, i momenti in cui insieme contro il mondo, anche quello che sembra rubato dalla quotidianità. Scene che sono stampate nei tuoi occhi, che lì, di fronte a te, si consumano destinando all’oblio quella sensazione di bruciante attrazione. Perdere è fin troppo facile, quando ti aggrappi senza forze ad una vana speranza. Brucia con la scottatura del dolore mai suturato a dovere. Anche quando duole come una frattura nei giorni di pioggia. Mi blocco a guardare il fermo immagine dei nostri ricordi condivisi, delle nostre emozioni immaginate, di quello che avremmo potuto essere e non saremo mai. 
E allora non c'è molto da concludere, con le lacrime che scivolano, verso un istante che non ci appartiene più. Vederti, appannaggio di un'altra, di chi forse comprende più di me, forse è più di me, più intensa, più vera, più vicina, più bella, più aggraziata, più pronta a perdersi. 
Perché in fondo è sempre la stessa storia, e non è neppure tanto bella. 




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