“Sempre
caro mi fu quell’ermo colle”
A volte sento una
nostalgia perniciosa e inarrestabile, che calpesta le certezze tanto
faticosamente raccolte. A volte mi ritrovo a fissare il paesaggio fuori dalla
finestra e ad acquisire la consapevolezza che non lo ritroverò tanto presto,
che mi trasferirò e che sarò lontana chilometri e chilometri. Se da un lato mi
entusiasma finalmente andare a vivere da sola, senza i miei genitori, senza zie
e senza inquilini, perché ho trovato un carinissimo monolocale da affittare,
dall’altro mi mancherà ancora di più la mia terra, quelle calde colline tiepide
e verdi, quei colori tipici del maceratese, quel borgo tanto odiato e tanto
amato.
Eppure cerco di non
pensare alla finalità di un viaggio dall’altro lato dell’Italia, cerco di non
pensare al nuovo addio e all’impossibilità di scappate più frequenti come
quando ero a Firenze. Firenze con quel mantello di struggenti riecheggi
rinascimentali, vorticosi e ignari, quella “c” aspirata che non ho mai
accettato del tutto e la stazione di Santa Maria Novella davvero capace di
portarti dappertutto. Come al solito sono in preda all’ansia perché non so di
preciso come andranno le cose. Tornare a Torino sarà come gettarsi nel vuoto,
intraprendere una carriera di cui non so nulla mi lascia interdetta e ansiosa,
spero davvero di prendere le decisioni giuste, di essere capace di fare tutto
nel modo migliore, di essere davvero all’altezza della situazione. Ho paura,
davvero, ma spero di sopravvivere come ho fatto fino ad ora.
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