Una delle cose più
terribili che abbia mai dovuto affrontare da sempre è il terremoto. È una delle
cose che mi spaventa di più in assoluto, perché di fronte alla terra che inizia
a tremare non possiamo fare nulla, se non metterci in salvo e osservare
immobili i danni. Ed è incredibile ripensare al terrore cieco che mi ha
catturato ogni volta che siamo stati investiti dal sisma. Quello del 97,
quando ero solo una bimba di otto anni, sotto al banco di terza elementare, tra Marche e Umbria, Colfiorito distrutto da macerie
e macerie, con i container rimasti lì per anni. Il 6 aprile 2009, quelle 3:35
che nel cuore della notte ci hanno fatto precipitare in strada, e dormire tutti
nel lettone dei miei, con gli occhi
sbarrati e il mattino dopo l’esame di Fondamenti di Automatica, e chi se lo
scorda, con gli amici abruzzesi trapiantati ad Ancona con gli occhi vacui e
il terrore nel cuore, completamente impotenti. Lo guardo fisso al telegiornale, tantissime giovani vite
spezzate, quella Casa dello Studente sventrata e irriconoscibile. E nel maggio
del 2012 in Emilia, a pochi giorni dal mio compleanno, la terra sussulta, il
cuore piange, tantissimi amici oltre confine della mia regione. E sempre ti
assale quella paura cieca, la voglia di scappare, non sapere dove andare, ansia per quel mondo che sembra scomparire in un attimo, invaso dalle
macerie e dal tremore.
Anni dopo e continuo a
tremare. Tremo, lo faccio da giorni oramai, incapace di mettere a tacere la
paura angosciante. Martedì notte ero a casa di amici a bere e ridere quando è
iniziato a ballare tutto. Secondi interminabili, paura che ti attanaglia le
viscere, le gambe che tremano anche dopo. 3:36 e tutto rapidamente cambia. Un
attimo prima ridi, un attimo dopo tremi. 140 secondi interminabili, a guardarci
in faccia, a stringerci le mani, che si, ti sembrava di morire, ma stiamo tutti
bene. Mother che mi chiama e mi chiede “Dove sei?”. Tornare a casa e per il
borgo qualche calcinaccio. Il borgo ammaccato e sgrullato per bene, la gente
per i vicoli, che si chiama, che cerca di dare conforto come può. Stare in
strada. Rientrare. Dopo poco precipitarsi di nuovo fuori e continuare a
tremare. Non è passata neanche un’ora e un’altra terribile scossa ci ha
colpito. Aggirarsi per le strade affollate, guardare volti di persone conosciute
in preda al panico a tormentarsi e a ringraziare per non aver subito danni, per
essere ancora vivi. Rimanere in macchina, leggere freneticamente sui social cosa
succede, perché chi ci torna in casa con cocci in terra di oggetti fracassati,
l’intonaco della mia camera da letto caduto sulla scrivania e sui miei libri. E
ancora scosse, una trentina in tre ore e tanta paura. Scosse di assestamento
che a volte sembrano non finire mai, che sembrano anche peggio della prima,
perché rinnovano la paura. Noi per fortuna stiamo bene. Ad Amatrice (bellissimo
borgo), Accumuli, Arquata e Pescara del Tronto e altri paesi nel rietino e nelle basse Marche non
possono dire la stessa cosa. Vedo le immagini scorrere in tv e mi viene da
piangere. Ad ogni storia disastrosa che ascolto lacrime silenziose scivolano
lungo le mie guance e non so come reagire. A volte sembra davvero che ci si
accanisca. Quando poi ti rendi conto dei giornalisti che pur di accaparrarsi lo
scoop non elemosinano nell’inquinare la tragedia, nel dipingerla a tinte fosche
a renderla sempre più ignobile. E allora ti rendi conto di come si cerca di
guadagnare su qualsiasi cosa, che la solidarietà di tantissimi si accompagna
alla critica facile e al male di altri, che è più facile attaccare che
rimboccarsi le mani, ma che c’è anche tanto bene intorno a noi. Equilibrare le
cose sembra difficile ma è necessario per ricominciare e andare avanti. Piano piano
stiamo tornando alla vita di sempre anche se viviamo sul chi vive, con l’incubo
che potrebbe ripetersi da un momento all’altro. Raccogliendo cocci di
suppellettili rotte, tremando ogni volta che sento un rumore sospetto, con il
sangue gelato nelle vene ad ogni sussulto. E non mi abituerò mai a sentire la
terra tremare.
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