Gli effetti invisibili che non riesco a comprendere sono
quella somma di azioni volontarie o involontarie che mi hanno portato fino a
qui. Un percorso tutto in salita, con traguardi faticosamente raggiunti vetta
dopo vetta, con quegli scarponi che lasciano vesciche, il bastone a cui
sorreggerti che piaga le mani, la convoluzione di sofferenza e sacrificio che
non smette mai di pungolare. Attimi, che si sommano, che si sottraggono che si
catapultano nell’imperfezione di incongruenze esplicite.
Da piccola sognavo di fare l’archeologa (ero super
fissata con gli Antichi Egizi), l’astronoma (per uno dei miei compleanni, mi
pare in seconda media, mi sono fatta regalare un telescopio, ce l’ho ancora
inscatolato nel mio armadio e ogni tanto vorrei aprirlo, ma non ho spazio, e
ora sono lontana da casa), la biologa marina (mi ero fissata con i delfini in
maniera mooolto preoccupante) e per finire la critica letteraria (che i libri mi sono sempre stati accanto in ogni momento
della mia vita). Eppure al
momento fatidico della scelta universitaria, al colmo della confusione, divisa
tra una fisica pura (e poi che diamine ci fai nella vita?) e una scienze del
turismo dettata anche dal mio impegno con il comune del mio paese, me ne sono
uscita con Ingegneria Biomedica. Avevo visto un servizio al tg su un occhio bionico impiantato con successo(che scopro oramai impiantato anche all’ospedale di Carreggi qui a Firenze, poi dici i casi della vita) e mi ero talmente gasata
che mi sono detta “no voglio fare anche io cose del genere... come posso
fare?”. Poi visto che c’era alla Politecnica delle Marche, è stato un attimo
decidere, che si, quello sarebbe stato il mio destino.
Non avrei mai, mai, mai immaginato che sarebbe stato così
difficile, mai avrei immaginato prima di iniziare le difficoltà a cui sono
andata incontro, che ho dovuto superare, i rospi da ingoiare, l’ambiente,
ancora di un maschilismo dirompente, popolato da uomini, con cui rivaleggiare,
a cui dimostrare che si, hai le loro stesse capacità, se non di più. Le nottate
di studio, i progetti, gli esami, le lezioni, l’essere pendolare, le amicizie,
i gruppi di studio. Ricordi indelebili, ma che pesano.
E poi... e poi alla fine
eccomi a fare la consulente informatica, che non c’entra niente con
l’ingegneria biomedica. Che si ci sguazzavo tra le protesi e avrei pure voluto
continuare a lavorarci (continuare magari anche con la mia tesi, che avere una
protesi di ginocchio per le mani, compresa la sua stampa 3D, averne progettato,
disegnato e studiato con la FEM) pure è finita diversamente. Sono cambiata
tanto in un anno e sono anche professionalmente cresciuta molto, ho acquisito
competenze che non mi sarei mai sognata.
E sono qui, a Firenze, ad occuparmi di database. Non si
sa mai dove si va a finire finché non ci si arriva.
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