Credere di non poter commettere passi falsi, perdersi nella quotidianità di
azioni ripetute, gesti che si ripercuotono sempre uguali a se stessi nel mondo
che si aggiusta al dominio che cambia. La paura genera paura, insieme a quella
incertezza ripetuta e mai corretta della mia quotidianità intransigente.
Attesa ancora di notizie, informazioni, generale senso di vuoto che si
trascina inaffidabile ancora e sempre. Sono stanca di aspettare, vorrei agire
di fronte allo spazio che si ristringe intorno al mio corpo scosso dalla
spossatezza. Eppure è vero che ci si abitua a tutto, anche all’instabilità di
punti di riferimento che si affossano. Si accascia anche il senso di perdita
che si trascina nel baratro. La paura mangia il colosso che campeggia nel mio
campo visivo, in quella consapevolezza da fin de siecle che cerca di conservare
lo status quo e che invece ha perso e sta per cadere.
Sai quella sensazione di ansia che precede lo scoppio della tempesta, che
puoi assaporare con la certezza che stia per arrivare qualcosa di terribile e
ci provi a cacciarlo indietro, ci provi a respingere quella sensazione ma non
te ne liberi, ti consuma le ossa fino a lasciare polvere. E quando davvero
scoppia la tempesta, sei troppo debole per metterti in salvo, troppo consumato
per salvarti. E finisci per perdere anche più di quello che avresti perso
altrimenti.
Il tempo si ferma improvvisamente, gestito da un’entità che sfugge al
controllo di ogni sensazionale momento che mi perseguita, genera solo un eco
nella memoria. C’è una via di uscita. Spero che ci sia il modo per sfuggire a
quella sensazione di perdita che sembra soffocare il cuore e il respiro. Sembra
quasi di perdere i sensi, sembra quasi di non avere sufficiente capacità di
sfuggire. Il respiro mozzato e attendo. Attendo.
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