Il lavoro del consulente è un’attività stressante, che mal si coniuga con persone che tendono a scoppi di ira incandescente e alla mancanza di compromesso. È una continua ricerca della frase giusta da pronunciare, dell’atteggiamento più consono da tenere, del vestito più adeguato da indossare. Il consulente è un equilibrista che si muove sugli umori del cliente, un funambulo che fa della crisi un momento in cui riscoprire nuove capacità dialettiche. Il consulente non deve neanche essere particolarmente geniale o innovativo, molto spesso ciò che conta sono le sue capacità di adattamento, il suo lavorare senza sosta, la sua voglia di vincere. Pare che i consulenti siano degli squali senza scrupoli, quasi peggio degli avvocati, che pur di accaparrarsi la commessa migliore non si lasciano scoraggiare da niente, si impegnano per cercare di emergere nella luce migliore. È tutto un dare e avere, un intreccio di relazioni, di stima reciproca. È un lavoro che molti intraprendono per ripiego, perché fare orari massacranti, avere a che fare con persone isteriche non è proprio l’aspirazione di tutti, ed è inevitabile che prima o poi si cambi, ma è anche estremamente stimolante, sempre diverso, sempre unico. Essere un consulente è più una questione mentale che un lavoro, perché deve interessare ogni aspetto della vita, il che la rende un’attività sfinente. È una lunga corsa alla sopravvivenza, un mettere un piede dietro l’altro per arrivare a fine giornata senza perdere pezzi della mia sanità mentale. Gli ultimi mesi sono stati una straziante lotta a chi arriva prima alla meta, un tira e molla per portare a casa i risultati richiesti, un’estenuante battaglia al compromesso per non farci cacciare dal progetto. Fare il consulente è una guerra costante al raziocinio, un continuo evocare scorte di pazienza, che speri sempre si moltiplichino, invece di scomparire e prosciugarsi per sempre. È una corsa agli ostacoli, un raffinarsi dell’arte del far credere all’altro che ha avuto le idee migliori, quando in realtà sono le tue. Un consulente è un equilibrista sul mood del suo referente interno, una partita a Risiko, dove la scacchiera sono le scelte progettuali.
lunedì 27 giugno 2022
martedì 14 giugno 2022
Forse dovrei smetterla di leggere ff
Ieri sera ho letto una storia in cui uno dei protagonisti decide di trasferirsi in Australia con il suo partner, la relazione fallisce e quando si ritrova da solo, senza una vera rete, con gli amici lontani, senza famiglia, inizia a pensare "se mi ammalo e dovessi fare la chemio chi mi accopagnerebbe in ospedale? chi mi starebbe vicino?" che mi ha lasciata completamente sconvolta perché era una cosa a cui non avevo mai pensato e ho iniziato a paranoiarmi.
Sono anni che vivo da sola lontana dalla mia famiglia e anche se ho delle amiche speciali vicino a me ho iniziato a pensare che in realtà non c'è nessuno che chiamerei davvero perché mi sembrerebbe di essere inopportuna, di invadere, di chiedere troppo. Ho visto con i miei occhi cosa può fare la malattia, quest'anno ne sono stata toccata di nuovo ed è stato devastante e non l'ho neanche vissuto in prima persona. Mi viene da piangere a pensare di dare questo peso a qualcuno. Anche darlo alla mia famiglia, soprattutto ora che ne sono così lontana. Quando sto male cerco sempre di minimizzare, minimizzo qualsiasi cosa pwd proteggere chi amo. Penso ai miei e mi dispero già per quello che succederà nei prossimi mesi e la mia testa è così sottosopra che non riesco neanche a tenere le fila di me stessa. Leggere una storia con dei pensieri del genere mi ha spezzato il cuore e mi ha sconvolto ancora di più. Mi sento incredibilmente sola. Pur apprezzando tantissimo la libertà e l'indipendenza di vivere in un posto che posso chiamare mio, senza dover dar conto a nessuno con i miei ritmi e le mie scelte, pure mi sento devastata dalla consapevolezza che sono sola. Adesso più di prima. Forse l'isolamento di qualche settimana fa mi ha dato molto la misura della solitudine e se pensavo di averla abbracciata appieno adesso non lo so. Questa domanda "se dovessi fare la chemio chi chiamerei ad accompagnarmi in ospedale?" ha spalancato ancora di più una voragine che mi consuma dentro, che si rivolta contro me e la mia inconcludezza. Perché forse è vero che sono io che non riesco a rimanere accanto agli altri, sono io che cerco di preservare la mia bolla prossemica e poi finisco abbattuta da una riflessione del genere che ho letto in una fanfiction. Effettivamente forse dovrei smetterla di leggerle. Per fortuna nella storia c'è un happy ending. Spero che ci sia anche nella mia.
martedì 19 gennaio 2021
Adesivi
Sono di quelle che non aprono i pacchi degli adesivi per paura di finirli, rovinarli, distruggerli. Li conserva in eterno finché non smettono di avere senso, e a quel punto non li usi perché non ti rappresentano più, non hanno al loro interno il significato implicito che racchiudevano quando li hai comprati. E cosa te ne fai di adesivi del genere? Te ne sbarazzi. E alla fine hai perso un'occasione.
Si dice che c'è sempre una via di uscita, devi solo avere la lucidità di trovarla. A me non resta che aprire la porta e rendermi conto che era solo tutto nella mia testa.
giovedì 14 gennaio 2021
Se solo avessi le parole
mercoledì 4 novembre 2020
If you gain some, you lose some
Ci credi che è volato un altro anno e quasi non riesco a percepirne appieno le conseguenze? Ma ci rendiamo conto che è quasi un anno in cui lavoro senza la sua ombra malvagia e non riesco a capacitarmene e a riconciliare la mia immagine attuale con quella dello scorso anno? Vero, non riesco a farlo a prescindere, con quello che sta succedendo in questo 2020 che davvero ci ha portato via tanto, tantissimo, ma personalmente mi ha dato tanto, tantissimo. Dovevo scontarla in qualche modo la libertà, pagando con altra moneta di scambio. “If you gain some, you lose some” perché ci deve essere sempre un equilibrio nelle forze cosmiche. Ma non riesco a fare i conti con la disperazione che mi aveva assalito lo scorso anno al rientro dalle mie ferie in cui emotivamente ero a pezzi con la voglia di buttare tutto per aria, un lavoro che mi stava portando via pezzi di lucidità e salute. Eppure alla fine sono ancora nello stesso punto a macinare le stesse incomprensibili spiegazioni al perché posso resistere ancora un po’ mentre cerco di meglio. Non so cosa mi abbia spinto a non demordere, una buona dose di caparbietà, la consapevolezza che senza uno stipendio non posso vivere da sola, e che a Torino in fondo ci sto bene. Non so quest’anno mi ha presentato una diversa prospettiva su me stessa e sul mondo, mi ha regalato nuove ansie e frustrazioni, tanti abbracci che non avrei mai pensato di dare, innumerevoli notti e insonni e nuovi modi per combattere la noia. Ma allo stesso tempo, in questo momento, vorrei poter fare una valigia e andarmene. Dove non lo so, che stiamo messi tutti nello stesso modo, con la sensazione di non uscirne mai più e l’inevitabile senso di isolamento che imperversa imprescindibile nelle nostre vite. E allora sono ancora intrappolata tra le mura del mio monolocale con il disegno di Kim Seokjin che mi fissa negli occhi con il suo intramontabile fascino.
lunedì 27 aprile 2020
La sindrome dell’arto fantasma
venerdì 20 marzo 2020
Prometeo
nel contatto con il fuoco salvifico
cosciente di quella inevitabile
occorrenza, appostata per un agguato
moltiplica il cieco terrore
perpetra la fine della storia
lamenta immani perdite
elargisce punizioni esemplari
taglia la testa, senza ripensamenti
annichilito dalla furia
sancita dallo scoppio della passione
essenza della notte appena trascorsa
nega persino quel profumo
zavorra di ricordi gravosi
alimenta la feroce pena
tenera carne penetrata e incompresa
esala l'ultimo indegno sospiro.