Quando ho iniziato
questo percorso lo scorso novembre non avrei mai mai mai immaginato dove mi
avrebbe portato. Quando sono arrivata ad Ariano Irpino con una candidatura
inviata il giorno prima della scadenza del bando, una incredulità di fondo
quando mi hanno chiamato di sabato per fare il colloquio la settimana
successiva, il viaggio della speranza passando per Foggia e finendo in una
stazione dimenticata da dio in fondo ad una valle, in Irpinia, di cui ignoravo
l’esistenza. L’incontro con un palermitano e un ragazzo di Como con cui ho
condiviso caffè, risate e pausa pranzo, nell’ansia di non sapere cosa fare
della propria vita e tirocini a metà, e domande “ma tu ci vieni davvero qui ad
Ariano se ti prendono?”. E quel colloquio in cui sono riuscita ad infilare i
libri e Un uomo della Fallaci, con un’attesa infinita che sono stata la
penultima che tanto io e l’altro ragazzo restavamo a dormire lì, che come ci
torno a casa? E a momenti non ci tornavo neanche il giorno dopo, che per
fortuna il tipo mi convinse ad andare con lui in autobus fino a Foggia (autobus
che subì un guasto e si fermò a pochi chilometri da Ariano), che c’era stata l’alluvione
nel beneventano e i treni non passavano. La certezza che quel colloquio fosse
andato malissimo, con la prospettiva di altre ricerche al pc e invii di
curriculum e depressione. La telefonata in un venerdì pomeriggio che si mi
avevano presa e “Oddio mamma devo andare
ad Ariano!” e nessuno ci credeva, sembrava talmente impossibile, che io stentavo
a realizzare. Una settimana frenetica di preparativi e il viaggio verso sud con
l’ansia a palla e il ciclo. Eppure…
eppure sono sopravvissuta a tre mesi di scleri, progetti, consegne alle
cinque della mattina, weekend ad Ariano con il palermitano, che avevano preso
anche lui, e gli altri reclusi, a base di pranzi e cene cucinati da noi, e
serate al Black Rose, pseudo studio e compiti di inglese. Freddo, neve,
colloquio a Roma con l’ansia a due milioni con il capo dei capi della mia
azienda preferita tra quelle che finanziavano il corso, e quella per cui hanno
scelto di candidarmi, che quasi non ci credevo che ero tra loro. E ancora non stentavo
a rendermi conto quando ci hanno convocato per dirci che ci avevano preso. Che
si saremmo andati a fare il tirocinio lì. Ci avevano prospettato Roma, Milano,
Torino e poi invece mi dissero “Ehi tu Annachiara vai a Firenze” che sembrava
una figata assurda. E prima vai a
Milano, poi non vai più a Firenze ma a Torino. Quattro giorni a Torino e “ehi
chiudiamo il progetto, saluti e baci” e vai a Firenze.
E qui a Firenze sono
stata benissimo, il tirocinio più entusiasmante che potessi desiderare, con un
supervisor che ci ha tenuto a insegnarmi il mestiere e a farmi volare da sola,
tra prove al cardiopalma con il tasto invio premuto con il cuore in gola e
presentazioni su argomenti che a momenti “sono l’esperta italiana” come ci
teneva a sottolineare il mio supervisor. Quegli “ottimo lavoro” e “Bravissima”
che mi risuonano ancora nel cervello nonostante tutto. Spiegare al cliente il
funzionamento di una query già dal primo giorno a lavoro, che dopo tre settimane
di lettura e spostamenti ero ancora praticamente digiuna di tutto, con tanta
forza di volontà e la consapevolezza che niente è impossibile. E sembra passato
un secolo e invece solo qualche mese, da quel piovoso (o nevoso) sabato di
marzo in cui sono sbarcata nella patria di Dante. E sono felice di come sono andate le cose
anche se la solitudine mi ha inghiottito le ossa e mi ha fagocitato il temperamento.
Credo che la mancanza di persone con cui vivere Firenze fuori dagli infratti
del mio lavoro sia la cosa che più mi ha penalizzato e distrutto.
E ora… ora si apre un
nuovo capitolo e torno a mangiare bagna cauda prima di quello che credevo. So
Torino aspettami, di nuovo!
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