martedì 28 luglio 2015

Un fottutissimo giorno qualunque

“I DON'T CARE!" Harry yelled at them, snatching up a lunascope and throwing it into the fireplace. "I'VE HAD ENOUGH, I'VE SEEN ENOUGH, I WANT OUT, I WANT IT TO END, I DON'T CARE ANYMORE!"
"You do care," said Dumbledore. He had not flinched or made a single move to stop Harry demolishing his office. His expression was calm, almost detached. "You care so much you feel as though you will bleed to death with the pain of it.”
J.K. Rowling, Harry Potter and the Order of the Phoenix



Certi giorni iniziano a cavolo e finiscono anche peggio, certi giorni sono terribili, vorresti solo avvolgerli da capo e buttarli via. Oggi è un giorno molto triste per me, un giorno qualunque che si è trasformato in tragedia, e ancora non riesco a capacitarmene, ancora stento a credere a quella mezz’ora che ha cambiato di nuovo, irrimediabilmente, per sempre, l’assetto della nostra famiglia.
E sono incazzata perché non è giusto, perché è tutto una merda, perché non sarebbe dovuta finire così, perché mi sento responsabile. Perché doveva essere un giorno qualunque, e invece è diventato un giorno schifoso.





venerdì 24 luglio 2015

#NESSUNASCUSA

A volte devi uscire dal tuo piccolo mondo annaspando e ritrovarti a riflettere su fatti che vanno oltre te, ma che in effetti riguardano anche te. Sono una ragazza di ventisei anni, e necessariamente devo fare i conti con un mondo ancora perversamente costituito da contraddizioni maschiliste e patriarcali, in cui un giudice, finisce per considerare irrilevante la denuncia di una ragazza di uno stupro di gruppo perché disinibita, libera, con una propria sessualità che non era repressa ma vissuta con la spensieratezza di chi sta bene nella propria pelle, e non ha bisogno di nascondersi dietro nessun falso perbenismo. Se leggete la sentenza di assoluzione in appello dei sei accusati per stupro di gruppo vi si accappona la pelle, con l’indomita declinazione della responsabilità sulla donna, che si era ubriaca ma consenziente, che non si è difesa abbastanza, che non si è lasciata prendere la mano da niente. Non voglio neanche commentare, perché d’altronde non ho gli strumenti per farlo, e altri hanno posto l’attenzione su ciò che è più raccapricciante quello che voglio fare è unire la mia voce al coro, prendere questo post e far risuonare lo sdegno che mi avvolge leggendo fatti che non dovrebbero far parte del nostro quotidiano.
Mi rifiuto di pensare che sia così facile mettere a tacere una ragazza, che ha vissuto un calvario fatto di scrutini minuziosi alla sua psiche, mentre gli accusati venivano strenuamente difesi dalle famiglie ben pensanti, incapaci di  riconoscere che i loro figli, cresciuti nel loro seno, erano colpevoli di un tale abominio. Che si differenzia che loro sono italiani, come se la loro nazionalità li proteggesse dall’accusa, come se il colore della loro pelle e il luogo in cui sono nati cancellassero la colpa, colpa di un reato, che ha distrutto la vita di tante donne, che sono state ingiustamente tacciate di essere “zoccole” perché hanno “invitato” l’uomo a mettere loro le mani addosso.
Io non lo so cosa a provato la ragazza di Firenze, né le tante altre prima e dopo di lei che hanno vissuto un tale orrore. Non lo so, e con un certo egoismo, spero di non provarlo mai, ma che si manchi in una tale misura di RISPETTO a una donna che è stata violentata mi riempie di raccapriccio. “Si è trattato di un raptus”, “era ubriaco”, “era malato”, “era geloso”, “lei si è messa una minigonna”, “lei aveva una scollatura pazzesca”, “lei ha ammiccato”, “lei ha accettato un drink”, “lei non ha ubbidito”. Lei, lui, accuse, recriminazioni, incertezze, luoghi comuni. È ora di finirsela, è ora che l’uomo che compie atti di violenza paghi le conseguenze dei suoi gesti, è ora che una donna  sia libera di girare con pantaloncini inguinali, trucco vistoso e tacchi alti senza la riprovevole accusa di essere “una facile”, “una che ci sta”. È ora che il “NO” di una donna, urlato o sussurrato in preda alla paura, sia accettato per quello che è, un “NO” ad un atto che se non consensuale è VIOLENZA.
Non possono esserci scuse ad un atto del genere, non possono cadere l’educazione, il rispetto, il sostegno ad una donna lesa nella propria intimità, qualsiasi sia il suo credo, la sua età, la sua personalità, il suo modo di fare, il suo modo di abbigliarsi.
Poi leggi una lettera del genere e ti rendi conto che lei, lei quella ragazza, è stata violentata due volte, e nessuno, nessuno, nessuno potrà restituirle quello che ha perso, quello di cui l’hanno privata: il suo diritto a dire no, il suo diritto di denunciare l’atto, il suo diritto a vedere giustizia fatta.
E allora mi sembra doveroso, in un qualche modo, far sentire il sostengo a chi come quella ragazza, si è vista privare di tutto. Mi sembra necessario far sentire la voce di chi crede che non esistono giustificazioni allo stupro, che chi viola una donna o uomo, che insomma chi fa violenza deve pagare, in un mondo in cui la giustizia funziona a dovere. E allora mi unisco alla foto petizione di Rete della Conoscenza contro ogni tipo di stereotipo e discriminazione, contro quelle dicerie e pregiudizi che condizionano la nostra società. Per un mondo migliore, perché non esiste #NESSUNA SCUSA. 


Al milionesimo selfie non riuscito ci ho rinunciato.
Sorry so che volevate vedere il mio faccione!

lunedì 13 luglio 2015

Summer is the time to cry

Questo per me è sempre stato un periodo attivissimo, in cui non avevo mai tempo per fare un tubo, ma sempre con l’entusiasmo di dedicarmi ad attività speciali, ricche, emozioni pazzesche, incontri. E studio, si perché la sessione estiva, ad ingegneria, chiudeva il 30 luglio. A volte il 2 agosto mi aggiravo ancora per i corridoi della facoltà invocando dei sconosciuti ai più e imprecando in tutte le lingue del mondo, reduce dall’ultimo tour de force realizzato di notte, con le occhiaie che arrivavano ai piedi e qualche argomento saltato a piè pari.
Anche l’anno scorso avevo così tante cose da fare, che arrancavo come non mai, ingozzandomi di torta con la mia coinquilina mentre mandavo giù a memoria nozioni di RF o facevo girare come un’invasata Abaqus, con quelle protesi JC e SR che sembravano finalmente girare, anche con i legamenti che facevano le biffe. Non mancavano gli “stronzo” lanciati al tipo del laboratorio di fronte, che faceva finta di lavorare ad un trabiccolo per misure microscopiche, e un pomeriggio che ho passato ad insultarlo passandogli giraviti e commentando il nostro futuro incerto. Ah che bei ricordi. La cosa bella era che lui mi dava corda e il nostro battibeccare era diventato fonte di intrattenimento per l’intero Beams, con il tifo di JC per lo stronzo, con quel “She deserves it” che mi è rimasto impresso più di qualsiasi altra cosa. Che poi, alla fin fine tanto stronzo non era, quel poveretto, che una volta che siamo usciti da soli (si poi è andato a scoparsi la sua vicina di casa spagnola meh!) che mi ero ostinata ad andare a “Bruxelles Les bains”, è venuto giù questo mondo e quell’altro, mi si è rotto l’ombrello, mi ha protetto dallo scroscio d’acqua più grosso mai visto e non  me lo ha MAI rinfacciato. Che c’entrava… ah di, se lo sapessi.






Mi mancano tantissimo tutte le mie estati precedenti, perché questa, nonostante il mio adorato blog e tanti libri, è tristemente vuota, segnata, per lo più dalla grande perdita di number. So… life sucks. Datemi un lavoro.

giovedì 9 luglio 2015

Memories

Certe volte ci ritroviamo a fissarci su delle immense cretinate, quelle cose che sembrano apparentemente inutili e invece, per noi, significano il mondo. Altre volte invece, non siamo abbastanza passionali, arriviamo a sfuggire a noi stessi, troppo spaventati dalle conseguenze. Non capisco perché in effetti non sono in grado di scappare da me stessa e dalla mia vita, ma sono ancora fondamentalmente legata a quelle stronzate che mi rivoltano lo stomaco, anche quando non significano più nulla. Quei fottuti ricordi continuano a strapparmi il cervello, la vita, l’anima.